Novorossijsk, una piccola città russa sul Mar Nero, rappresenta uno snodo cruciale per il Cremlino nella guerra. Nonostante la sua importanza strategica, le operazioni militari ucraine sembrano ignorarla. Questo porto, che accoglie e spedisce un considerevole numero di navi cargo e petroliere, fa parte della cosiddetta “flotta ombra”, la quale sostenta l’export russo. Molti di questi vascelli utilizzano bandiere di convenienza come quella panamense o del Belize.

I carichi di petrolio e prodotti raffinati che partono da Novorossijsk costituiscono circa un quinto delle esportazioni petrolifere russe, per un valore che ammonta a 76 miliardi di euro dall’inizio della guerra. Essi, ufficialmente, rappresentano un’importante parte delle entrate russe, cruciali per il finanziamento delle operazioni belliche. Le politiche di aggiramento delle sanzioni vedono il petrolio russo etichettato come kazako, complicando la tracciabilità delle reali esportazioni russe.

Per quanto riguarda gli acquirenti, l’India risalta come il principale importatore, seguita da Bulgaria, Turchia e Cina, mentre l’Italia, nonostante l’embargo europeo successivo, ha acquistato una significativa parte durante le prime fasi del conflitto. Tuttavia, nonostante la vicinanza con importanti città ucraine e la vulnerabilità delle sue rotte marittime, Kiev ha svolto solo un attacco significativo nel lontano agosto dell’anno passato.

La mancanza di azioni da parte ucraina sul porto di Novorossijsk solleva domande sulla strategia adottata. Numerose sono le ipotesi, dalle considerazioni geopolitiche a vincoli strategici posti da alleati internazionali. Ciò che appare certo è che senza il flusso continuo di risorse attraverso questo porto, la capacità di finanziamento della macchina bellica russa potrebbe risultare compromessa, rendendo la sua incolumità un dettaglio non trascurabile nel più ampio contesto bellico.

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