La situazione in Siria, sin dai tempi di Hafez Assad, ha sempre rappresentato un caposaldo strategico per la presenza russa nel bacino del Mediterraneo. Tuttavia, gli ultimi eventi hanno messo in luce la fragilità del potere di Mosca, evidenziata fin dai primi giorni dell’invasione russa in Ucraina nel febbraio 2022. Attualmente, Vladimir Putin sta concentrando le sue forze nel Donbass, ma nel giro di pochi giorni ha dovuto assistere impotente alla perdita dell’importante bastione siriano.
Nel passato, l’impero zarista aveva la mira di controllare la città di Istanbul e il Bosforo, per garantire alla flotta del Mar Nero un accesso libero alle principali rotte marittime. In risposta, l’Unione Sovietica aveva costruito basi in Siria, stabilendo anche legami stretti attraverso la formazione di militari e studenti delle classi dirigenti siriane nelle accademie russe.
Questo scenario geopolitico, tuttavia, ha subito un cambiamento radicale. Le ambizioni di Putin di conquistare Kiev e prendere il controllo dell’Ucraina in poche settimane si sono arenate. All’interno di un mese dall’inizio del conflitto, i piani russi si sono rivelati fallimentari. Le truppe russe, dotate di mezzi obsoleti e strategie antiquate, sono state respinte grazie ai droni turchi e al supporto tecnologico americano e britannico fornito agli ucraini.
Questo improvviso cambio di tattica ha spinto Putin a orientarsi su una strategia di logoramento, con sfide sempre più evidenti in termini di risorse, numero di soldati e supporto civile, un approccio che ha ulteriormente mostrato i limiti della potenza russa. Anche se la Russia conta su oltre 140 milioni di abitanti, rispetto ai circa 25 milioni di ucraini rimasti, si è vista costretta a cercare rinforzi in soldati nordcoreani nella regione di Kursk.
In questo contesto, le forze russe non possono permettersi di inviare truppe in Siria, lasciando Bashar Assad senza il sostegno essenziale. Privato dell’appoggio dei miliziani di Hezbollah, che si stanno ritirando in Libano, e con l’Iran ormai esausto, il leader siriano si trova isolato. Anche le milizie sciite irachene, potenzialmente pronte a intervenire, sembrano frenate dall’attraversare il confine siriano.
Il regno di Assad, mantenuto in vita grazie all’intervento russo sin dalle rivolte arabe del 2011, si sgretola rapidamente. Mosca aveva sostenuto il regime siriano con ingenti risorse militari per sedare le rivolte civili, ma ora la situazione è drasticamente cambiata con Assad che si suppone abbia cercato rifugio all’estero.
Con il crollo del regime siriano, Putin vede un altro frammento delle sue aspirazioni imperiali dissolversi, a testimonianza delle attuali limitazioni del potere russo nel contesto geopolitico mondiale.