Nel contesto delle elezioni presidenziali statunitensi del 1992, un giovane Bill Clinton affrontava un presidente uscente, George Bush padre. Questo avveniva in un periodo in cui gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza mondiale, a seguito della caduta dell’Unione Sovietica, e Bush era celebrato per il successo della prima Guerra del Golfo del 1991. Tuttavia, il consigliere elettorale di Clinton, James Carville, intuì che le questioni interne avrebbero avuto un peso maggiore per gli elettori. Così nacque il famoso motto “It’s the economy, stupid!”, un promemoria per concentrarsi su temi economici interni quali occupazione, salari e inflazione.
Questa strategia si rivelò vincente, permettendo a Clinton di sconfiggere Bush, anche grazie alla presenza del candidato indipendente Ross Perot. Quest’ultimo, imprenditore con posizioni protezioniste, assomigliava in alcuni aspetti a Donald Trump, mettendo in guardia contro le conseguenze negative per l’occupazione derivanti dagli accordi di libero scambio.
A distanza di 32 anni, l’economia continua a essere al centro delle preoccupazioni degli elettori americani. Durante le elezioni presidenziali, la figura di Trump è risultata più competente sulle questioni interne rispetto agli avversari, tanto da ottenere il favore di una parte dell’elettorato democratico. Questo mentre il resto del mondo osserva le sue mosse in politica estera, dalla situazione in Ucraina al Medio Oriente.
Gli economisti guardano con scetticismo alle politiche di Trump, temendo effetti inflazionistici causati da tariffe doganali e restrizioni sull’immigrazione. Sebbene i dazi del passato non abbiano subito provocato inflazione, l’attuale contesto economico incerto preoccupa la Federal Reserve, che ha risposto con una politica monetaria più cauta, frutto delle esitazioni sui tassi d’interesse e delle pressioni inflazionistiche potenziali.
Questa posizione della Fed ha provocato reazioni negative nei mercati azionari, mentre il dollaro si è rafforzato poiché una politica di tassi più elevati rende i titoli di stato americani più attraenti. Nel frattempo, l’economia dell’Eurozona stagna e la Cina vive una fase di deflazione, il che contribuisce a mantenere i tassi d’interesse negli Stati Uniti relativamente alti.
Il presidente Trump desidererebbe una riduzione dei tassi più marcata per stimolare la crescita economica, mettendolo potenzialmente in contrasto con il presidente della Fed, Jerome Powell, da lui stesso nominato. La tensione tra la Casa Bianca e l’autorità monetaria non è una novità nella storia americana, con scontri significativi avvenuti in passato anche negli anni di Hoover, durante la Grande Depressione, e di Lyndon Johnson nel contesto del Vietnam.
Oltre alle questioni monetarie, la spesa pubblica è un altro tema caldo. Elon Musk ha tentato di bloccare un accordo al Congresso che, a suo avviso, prevede eccessive spese assistenziali. Questo scontro politico anticipa un periodo turbolento nel quale l’economia statunitense sarà il vero banco di prova per l’amministrazione Trump, molto più delle tensioni geopolitiche.