Dopo oltre due anni di conflitto in Ucraina e sanzioni internazionali, l’economia russa sta affrontando una crisi sempre più evidente. Il problema principale è un’inflazione fuori controllo, che non solo minaccia la stabilità economica del Paese, ma mette anche Vladimir Putin di fronte a decisioni cruciali per il suo potere.
Le scelte economiche in Russia sono concentrate nelle mani di pochi, tra cui lo stesso Putin e i suoi fidati collaboratori di lunga data, Alexander Bortnikov e Nikolai Patrushev, tutti legati dai tempi del KGB. Tuttavia, il controllo centralizzato non impedisce il manifestarsi di tensioni interne tra diversi settori dello Stato e gruppi di potere economico.
Inflazione e sanzioni: un binomio devastante
La guerra e le sanzioni hanno avuto un impatto profondo sull’economia russa. L’inflazione, ufficialmente all’8,56% a novembre, è un problema ormai evidente. I prezzi di beni essenziali, come il burro, sono aumentati dal 30% al 40% rispetto all’inizio del conflitto, mettendo in difficoltà milioni di cittadini. Alcuni episodi, come il furto di alimenti nei negozi, mostrano quanto la situazione stia deteriorando.
Per contrastare questa tendenza, la governatrice della Banca Centrale Russa, Elvira Nabiullina, ha adottato una politica monetaria restrittiva. I tassi d’interesse, già alti, sono stati portati al 21%, un livello quasi insostenibile per l’economia. Secondo Nabiullina, l’aumento della domanda non supportato da un’adeguata crescita della produzione, insieme alle spese militari, rappresenta il principale fattore che alimenta l’inflazione.
Tensioni tra Banca Centrale e industria militare
Le scelte di Nabiullina hanno generato un conflitto aperto con l’apparato militare-industriale russo. Grandi oligarchi come Alexei Mordashov di Severstal e Sergei Chemezov di Rostec, aziende che riforniscono l’esercito, si oppongono a queste politiche. Essi temono che l’aumento dei tassi d’interesse renda insostenibili i debiti aziendali e rallenti la produzione militare necessaria per sostenere il conflitto.
Chemezov, che guida un’azienda responsabile dell’80% delle armi utilizzate in Ucraina, ha criticato pubblicamente Nabiullina, accusandola di mettere in pericolo l’intero settore. Altri influenti imprenditori, come Oleg Deripaska dell’alluminio, hanno seguito la stessa linea, chiedendo un maggiore controllo statale sulla Banca Centrale.
Una scelta difficile per Putin
Putin si trova quindi a dover scegliere tra due strade entrambe rischiose. Da un lato, mantenere le politiche restrittive di Nabiullina potrebbe proteggere la stabilità economica a lungo termine, ma al costo di rallentare ulteriormente l’economia e mettere in difficoltà i settori industriali cruciali per la guerra. Dall’altro lato, cedere alle richieste degli oligarchi significherebbe abbassare i tassi d’interesse, rischiando un’iperinflazione simile a quella che ha colpito il Venezuela.
A complicare il quadro, il Paese affronta una grave carenza di manodopera. La mobilitazione per il fronte e la fuga di circa un milione di lavoratori qualificati hanno ridotto la capacità produttiva interna, aggravando la crisi economica.
Uno scenario in evoluzione
L’inflazione è ormai una minaccia evidente anche per i leader russi, ma il tempo per trovare soluzioni si sta esaurendo. La pressione degli oligarchi e delle difficoltà economiche rischia di destabilizzare un sistema che, nonostante il controllo autoritario, mostra sempre più crepe.
Mentre il rublo perde valore anche rispetto allo yuan cinese, la posizione di Putin si fa sempre più delicata. Ogni scelta potrebbe influire non solo sulla capacità della Russia di sostenere la guerra, ma anche sulla stabilità del regime stesso.