Il giornalista Lanfranco Vaccari, nell’anno 1980, ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza della prigione di Evin a Teheran, lo stesso carcere che ha recentemente ospitato Cecilia Sala. Era l’anno successivo alla nascita della Repubblica islamica in Iran.
Quando il telefono squillò più volte nel cuore della notte, Vaccari rispose in maniera confusa. Il portiere dell’albergo lo informò che qualcuno desiderava incontrarlo, suggerendo di scendere subito. Al suo arrivo, Vaccari si trovò di fronte a sei pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, armati di kalashnikov. Gli intimarono di seguirli senza diritto a contattare l’ambasciata.
Anziché al comando dei Sepâh, Vaccari fu condotto alla famigerata prigione di Evin, nota per aver detenuto prigionieri politici fin dai tempi dello Scià. Entrando in un lugubre corridoio, venne condotto in una stanza spartana dalle pareti con schizzi di sangue rappreso. Preso dallo sconforto, iniziò a contare le piastrelle del pavimento nel tentativo di mitigare l’ansia crescente.
In quei giorni, Vaccari si trovava a Teheran per seguire gli eventi legati al regime di Khomeini e alla crisi degli ostaggi americani. Nei suoi progetti, l’idea di viaggiare con la sua Land Rover per raccontare il Medio Oriente e l’Africa, ma la realtà della prigione sembrava segnare la fine del suo percorso giornalistico.
Non riuscendo a trovare una spiegazione al suo arresto, ripensò ai giorni precedenti: il suo accredito presso il ministero degli Esteri, le frequenti visite alla sala stampa e all’ambasciata americana, nonché il suo tentativo di visitare il sito dell’operazione fallita della Delta Force nel deserto salato. Con la situazione stagnante degli ostaggi e le restrizioni sempre più opprimenti del regime, Vaccari aveva ormai pianificato di lasciare l’Iran. Tuttavia, le vie d’uscita erano bloccate da conflitti interni e restrizioni politiche.
L’Iran dell’epoca non permetteva alcun movimento al di fuori del paese, rendendo apparentemente impossibile un ritorno alla routine giornalistica. Tuttavia, Vaccari aveva ancora una via d’uscita speranzosa, sebbene precarizzata da restrizioni internazionali. Il racconto evoca la complessità e l’incertezza di quei giorni turbolenti nel cuore del Medio Oriente rivoluzionario.