Nel contesto delle tensioni crescenti in Iran, il figlio dell’ultimo Scià del paese, Reza Pahlavi, sostiene l’idea di un “fondo di sciopero” sostenuto dai governi occidentali per incentivare azioni industriali che possano indebolire la struttura del regime iraniano. Questa strategia mira a supportare gli sforzi della popolazione locale per rovesciare l’attuale regime dall’interno, sfruttando la crescente insoddisfazione popolare verso la repressione autoritaria e la cattiva gestione economica.
Pahlavi, che conserva un’influenza significativa nonostante viva all’estero, ha avuto numerosi incontri con leader e funzionari in Europa, cercando di attirare il loro interesse verso il sostegno ai gruppi di opposizione interna. La sua proposta prevede di sbloccare fondi dai beni iraniani congelati per finanziare scioperi e disordini lavorativi, ispirandosi al potere delle proteste dei lavoratori nel passato rivoluzionario iraniano.
In termini di politica internazionale, Pahlavi esprime scetticismo verso i negoziati nucleari guidati dall’amministrazione Trump, ritenendo che questi non condurranno alla pace e sostenendo piuttosto un appoggio diretto alle iniziative di disobbedienza civile interna. L’idea è evitare ulteriori azioni militari da parte degli Stati Uniti o di Israele, indirizzando piuttosto l’attenzione sul rafforzamento delle capacità organizzative dei dissidenti iraniani.
Parallelamente, la situazione regionale continua ad evolversi: l’appoggio di Teheran a gruppi come Hamas e Hezbollah è sotto pressione, mentre l’invio di droni a supporto delle forze russe in Ucraina degenera. Nonostante la sua reputazione controversa, Pahlavi insiste sulla necessità di un cambio di regime attraverso la resistenza interna piuttosto che interventi esterni. Il suo appello si accompagna a una visione di futuro per l’Iran che prevede la separazione tra stato e religione, una democrazia secolare e il rispetto dei diritti umani fondamentali.
Tuttavia, benché la proposta di Pahlavi abbia attirato l’attenzione, non manca di suscitare scetticismo. Mentre alcuni riconoscono il suo potenziale ruolo come leader transitorio, altri mettono in dubbio la sua effettiva capacità di guidare un Iran post-regime. Le divisioni interne e la frammentazione dell’opposizione rimangono sfide significative nel concreto cammino verso un cambiamento politico stabile e duraturo.