Nel 2017, quando Donald Trump decise di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, una tempesta di indignazione diplomatica scosse la scena internazionale. Tuttavia, nel 2025, quando il presidente statunitense ha replicato quell’azione, la reazione è stata notevolmente più contenuta. Questo cambiamento riflette una significativa evoluzione nelle strategie adottate dai funzionari e dai sostenitori del clima, un approccio che ha guadagnato terreno ma che non era scontato fino alla riaffermazione di Trump alla Casa Bianca.
La presidenza di Joe Biden aveva instillato una sensazione di progresso nei paladini della causa climatica, suggerendo un futuro stabile e duraturo. Durante il primo mandato di Trump, il clima politico negli Stati Uniti era già mutato, con una crescente accettazione dell’importanza della lotta al cambiamento climatico. L’opinione pubblica e i leader politici consideravano ormai questa sfida come essenziale quanto garantire servizi fondamentali come acqua pulita e sicurezza.
Tuttavia, un movimento politico verso destra ha destabilizzato molti leader che promuovevano l’intervento climatico come un imperativo morale. Di conseguenza, i sostenitori hanno adeguato la loro retorica, optando per argomenti incentrati su benefici economici e sicurezza, e talvolta scegliendo il silenzio come strategia. L’obiettivo è comunicare efficacemente le problematiche climatiche in un contesto politico caratterizzato dall’influenza del movimento MAGA (Make America Great Again).
Questo atteggiamento pragmatico è emerso chiaramente dopo l’annuncio di Trump sul ritiro dall’accordo di Parigi. Le reazioni diplomatiche, che nel 2017 avevano incluso forti pressioni da parte di figure come Emmanuel Macron e Angela Merkel, sono ora state sostituite da un’inedita tranquillità. Le reazioni dai governi europei sono risultate assai più moderate, e anche le autorità cinesi hanno espresso preoccupazione in modo composto.
Nel dibattito attuale, il focus si è spostato sui vantaggi economici più tangibili dell’adesione all’accordo di Parigi, lasciando da parte argomentazioni emotive o morali. Esperti come Nigel Topping sostengono che argomenti economici e di competitività sono ora più efficaci nel dialogo politico.
Sebbene la nuova amministrazione statunitense abbia intrapreso azioni volte a promuovere i combustibili fossili, la transizione globale verso un’economia più verde sembra irreversibile. Molti governi vedono nell’accordo di Parigi una componente del loro interesse nazionale, complice anche l’inevitabilità del passaggio alle energie pulite.
Il panorama geopolitico è diventato sempre più competitivo, come notato da Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea. Questo scenario complesso sfida i sostenitori del clima a trovare nuovi modi per avanzare la loro agenda, integrando l’approccio ambientale con priorità economiche e industriali.
In definitiva, mentre la presidenza di Trump potrebbe segnare un ritorno a un linguaggio più duro sui temi energetici, gli attori internazionali e le ONG stanno riconsiderando le loro strategie per collaborare con l’amministrazione su interessi comuni. Fenomeni naturali, tecnologie per la cattura del carbonio e normative sul metano sono solo alcuni dei temi in cui esiste un potenziale terreno di dialogo.
Infine, il caso dell’India, dove il governo ha spesso abbracciato le possibilità economiche del solare, potrebbe fungere da modello su come affrontare con successo le tematiche ambientali senza menzionare direttamente il cambiamento climatico.