Le tensioni continuano a crescere in Siria con l’emergere di una nuova “resistenza” armata che si oppone al regime recentemente insediato. Questa resistenza è costituita da elementi del precedente esercito governativo, prevalentemente della minoranza alawita a cui apparteneva anche l’ex presidente Bashar Assad. La guida di questo gruppo è stata assunta dall’ex generale Suheil al Hassan, un alawita legato agli iraniani e già comandante di un’unità speciale chiamata “Le Tigri”.

La situazione all’interno del Paese è estremamente volatile. Il nuovo governo provvisorio, guidato da Ahmed al-Sharaa, ha lanciato operazioni punitive contro gli alawiti, accusandoli di sostenere la resistenza. Ci sono numerosi resoconti di uccisioni sommarie nelle regioni di Latakia e Homs, dove si concentra la popolazione alawita.

Per evitare ulteriori interferenze nel conflitto, è stato bloccato il confine tra Libano e Siria, cercando di impedire l’entrata di Hezbollah, la milizia libanese anch’essa sostenuta dall’Iran. Questo viene visto come un tentativo di mantenere il focus sulla lotta interna senza influenze esterne.

Le perdite già segnalate sono significative, con almeno 150 morti tra le fila delle due fazioni contrapposte. Il governo continua a negare la gravità degli eventi, parlando di incidenti isolati, ma le testimonianze suggeriscono che la violenza è sistematica e ben organizzata.

A livello internazionale, la situazione siriana è chiaramente polarizzata. Mentre la Turchia, il Qatar e altri stati sunniti sostengono il nuovo governo, l’Iran appoggia la resistenza alawita. Israele, nel frattempo, vede con sospetto la nuova leadership siriana, etichettando il nuovo presidente come legato ad ambienti terroristici.

Le prospettive per una risoluzione pacifica sembrano lontane. La comunità internazionale dovrà affrontare un altro ciclo di instabilità in una regione già martoriata da anni di conflitto.

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