La Commissione europea ha in programma di presentare una serie di riduzioni significative nella normativa dell’Unione Europea relativa al reporting ambientale, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la burocrazia a carico delle imprese e supportare l’economia del blocco che sta affrontando difficoltà. Questo emerge da una parte di una bozza della futura legislazione omnibus, come riportato da POLITICO. Le proposte suggerirebbero l’esenzione di numerose aziende dall’obbligo di conformarsi alle normative sul reporting di sostenibilità, mantenendo solo le più grandi sotto questi regolamenti. Parallelamente, i requisiti per vigilare sugli abusi ambientali e sui diritti umani nelle catene di approvvigionamento globali potrebbero subire significative riduzioni.
Tale proposta legislativa era molto attesa e potrebbe portare sollievo a molte aziende, preoccupate dagli standard di reporting ambientali che considerano complessi e sovrapposti, richiedendo investimenti rilevanti per la conformità. Tuttavia, è prevedibile che queste modifiche incontreranno l’opposizione di gruppi ecologisti e di centro-sinistra, predisponendo la scena per dibattiti accesi nel Parlamento europeo e fra gli Stati membri. Maria van der Heide, responsabile politica dell’UE presso l’ONG ShareAction, ha stigmatizzato la proposta definendola “un’azione irresponsabile”, sottolineando la deregolamentazione sotto mentite spoglie di semplificazione.
La legge omnibus, che dovrebbe essere presentata ufficialmente il 26 febbraio, punta a semplificare tre normative ambientali cardine: la direttiva sul reporting di sostenibilità aziendale (CSRD) che obbliga le imprese a documentare il loro impatto ambientale e il rischio climatico; la direttiva sulla diligenza dovuta in merito alla sostenibilità (CSDDD) che impone alle imprese di individuare e contrastare abusi nelle loro catene di approvvigionamento; e la tassonomia dell’UE che determina cosa si qualifica come investimento sostenibile. Inoltre, modifiche al sistema di tassazione delle frontiere sul carbonio potrebbero essere incluse ma non sono state confermate nel documento trapelato.
La proposta prevede otto emendamenti, con una significativa riduzione delle regole di diligenza, limitando il monitoraggio ai soli fornitori diretti evitando di esaminare l’intera catena di approvvigionamento. Nel contesto della CSRD, i cambiamenti suggeriti porterebbero a un rinvio di un anno nell’attuazione della normativa, e solo le grandi aziende, con più di 1.000 dipendenti e un fatturato di oltre €450 milioni, resterebbero soggette alle regole. Attualmente, le norme vigenti si applicano alle imprese con almeno 50 dipendenti e un fatturato di €8 milioni dal 2026.
Quando rese pubbliche, le proposte dovranno ottenere l’approvazione degli Stati membri nel Consiglio dell’UE e dei rappresentanti del Parlamento europeo. Per quanto riguarda i nuovi criteri di diligenza, le aziende non sarebbero più obbligate a supervisionare oltre i partner commerciali diretti, e la frequenza del monitoraggio sarebbe ridotta drasticamente da annuale a quinquennale. Inoltre, le aziende non saranno più tenute a interrompere i rapporti con fornitori recalcitranti e il regime di responsabilità a livello dell’UE potrebbe essere eliminato, lasciando alle leggi nazionali la gestione di eventuali violazioni.
La definizione di “parte interessata” verrebbe anche ristretta, limitando il numero di soggetti e comunità che le imprese devono considerare nelle loro attività di diligenza. Infine, le regole riguardanti le sanzioni per mancato rispetto delle normative verrebbero modificate, eliminando il legame diretto con il fatturato aziendale. Questi cambiamenti, se approvati, rappresenterebbero una significativa trasformazione del quadro normativo europeo in materia ambientale.