In un contesto geopolitico sempre più teso e complesso, il Cremlino sembra ricorrere sempre più spesso a narrazioni complottiste per giustificare le difficoltà sul campo militare e le sfide economiche interne. Questa strategia, che si basa sulla creazione di un nemico esterno onnipresente e di un complotto globale contro la Russia, riflette una leadership che fatica a mantenere il controllo narrativo e a rispondere alle crescenti pressioni sia interne che internazionali.

Un Occidente “responsabile di tutto”

La tendenza a incolpare l’Occidente per qualsiasi crisi, dalla Siria all’Ucraina, non è nuova, ma ha raggiunto nuove vette negli ultimi anni. Secondo i media di stato e i commentatori filo-governativi, ogni evento destabilizzante è parte di un piano più ampio orchestrato da Stati Uniti e alleati per minare la sovranità della Russia. Le proteste in Georgia, l’avanzata dell’opposizione in Siria e persino le difficoltà economiche interne vengono tutte presentate come tasselli di un complotto contro Mosca.

Aleksandr Kots, uno dei principali propagandisti filo-Cremlino, ha recentemente dichiarato che “il nemico vuole aprire un secondo fronte” in Siria per indebolire la Russia. Questa teoria è stata amplificata dai principali quotidiani russi, che hanno collegato i ribelli siriani e le proteste antigovernative in altre parti dell’ex sfera sovietica a un’unica cabala occidentale. Tuttavia, queste narrazioni non reggono a un’analisi più approfondita, soprattutto alla luce delle difficoltà militari e diplomatiche di Mosca.

Il paradosso delle teorie complottiste

L’uso delle teorie complottiste da parte del Cremlino evidenzia un paradosso significativo. Da un lato, queste narrazioni servono a rafforzare il controllo interno, unendo il pubblico contro un nemico comune e distogliendo l’attenzione dai fallimenti interni. Dall’altro lato, la continua insistenza su queste teorie mostra una leadership sempre più insicura e incapace di affrontare le sfide reali.

La crisi siriana è un esempio emblematico. Dopo anni di sostegno al regime di Assad, la Russia si trova ora a dover affrontare una ribellione che mina la sua influenza nella regione. Piuttosto che ammettere le difficoltà causate dalla mancanza di risorse, con il grosso dell’apparato militare impegnato in Ucraina, il Cremlino sceglie di attribuire la responsabilità all’Occidente. Questa narrativa, però, si scontra con la realtà di una politica estera russa che fatica a mantenere le sue promesse ai partner regionali.

Il rischio dell’autocompiacimento

L’insistenza su complotti e nemici esterni potrebbe avere effetti negativi per la stessa leadership russa. Le teorie complottiste, per loro natura, offrono risposte semplicistiche a problemi complessi, scoraggiando l’autocritica e la riforma. Nel caso del Cremlino, questo si traduce in una mancata valutazione delle proprie debolezze strategiche. La dipendenza dalla propaganda non solo erode la credibilità internazionale della Russia, ma rischia anche di alienare parte della popolazione, che potrebbe iniziare a dubitare dell’efficacia della leadership di Vladimir Putin.

Una strategia destinata a fallire?

Nel lungo termine, affidarsi a narrazioni complottiste per giustificare fallimenti interni ed esterni è una strategia insostenibile. La realtà economica e militare finirà per prevalere sulla propaganda, e i russi stessi potrebbero chiedere risposte più concrete ai loro leader. Mentre il Cremlino si arrampica sugli specchi, cercando di mantenere il controllo, rischia di compromettere ulteriormente la sua legittimità.

In un mondo sempre più interconnesso, le teorie del complotto possono servire come strumenti temporanei di manipolazione, ma non possono nascondere la verità indefinitamente. Per il Cremlino, il tempo delle illusioni potrebbe finire prima di quanto ci si aspetti.

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