Una tregua di 42 giorni è ciò che fonti dell’agenzia Associated Press riportano come parte di un accordo tra Hamas e Israele per il rilascio degli ostaggi e un cessate il fuoco temporaneo. Tuttavia, questo non indica la fine delle ostilità nella Striscia di Gaza. Entrambi i protagonisti del conflitto hanno già dichiarato le loro intenzioni riguardo lo scenario post-accordo: Hamas ha condito la propria disponibilità a liberare ulteriori ostaggi con la condizione della fine del conflitto, mentre il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che l’offensiva contro Hamas continuerà fino a un’eliminazione totale del gruppo islamista.

Il primo segmento dell’intesa non è mai stato inteso come una fine permanente delle ostilità. Si tratta, invece, di una sospensione temporanea che permetterà l’ingresso di aiuti umanitari, la liberazione di ostaggi e la possibilità per i residenti di ritornare nella parte Nord di Gaza, pesantemente colpita dai bombardamenti degli ultimi 15 mesi. Le modalità del ritiro delle truppe israeliane rimangono tuttavia incerte: Hamas richiede il ritiro dal corridoio di Filadelfia, una striscia di terra che separa Gaza dal Sinai egiziano, e ci sono negoziati riguardanti il ritiro delle forze israeliane dal corridoio di Netzarim, che divide il nord dal sud di Gaza.

Questo accordo preliminare potrebbe significare un primo assaggio di tregua dall’8 ottobre ad oggi, ma non rappresenta una promessa certa di pace. Solo dopo i 42 giorni della tregua inizierà la discussione sulla seconda fase, quella cruciale per il destino di Gaza. Una delle questioni rimarrà quale sarà la presenza di Israele nella Striscia: ci sarà una nuova “zona cuscinetto” sotto controllo militare israeliano? E che ruolo avrà Hamas nell’amministrazione futura?

L’ANP di Mahmoud Abbas si è proposta come guida della Gaza post-guerra, ma la sua autorità è messa in discussione dai miliziani di Hamas nelle città della Cisgiordania come Nablus e Jenin. Tensioni interne mettono in luce le accuse mosse alle forze di sicurezza di Abbas di essere troppo allineate con Israele, nel tentativo di guadagnare credibilità internazionale e assumere un ruolo centrale nella gestione di Gaza dopo il conflitto.

L’idea di un futuro sotto la guida dell’ANP, tuttavia, rimane al momento fuori dal discorso sugli accordi di cessate il fuoco, e nella Gaza devastata dal conflitto, pensare a un “dopo” resta un sogno irrealizzabile per molti.

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