L’osservazione di re Giorgio III sulla perdita delle colonie americane potrebbe risuonare oggi in risposta alle azioni dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Tuttavia, l’ammissione di errori non è nel repertorio di Trump, il quale continua a sostenere che le sue iniziative porteranno benefici futuri. Nonostante il crollo dei mercati azionari, Trump rimane ottimista, immaginando un periodo di prosperità economica per gli Stati Uniti. Al suo fianco, il vicepresidente JD Vance sostiene che il paese si trova sulla soglia di un lungo periodo di floridezza economica grazie al reinvestimento su suolo americano.
Questa visione è però minata dagli effetti delle politiche protezionistiche che il presidente sta perseguendo, le quali ricordano le restrizioni commerciali imposte una volta dal monarca britannico. Tuttavia, al contrario di Giorgio III, Trump non ha la giustificazione di turbe mentali per spiegare le proprie scelte. Le politiche economiche di chiusura verso il mondo rischiano infatti di spingere gli altri paesi a ricercare nuove alleanze e a ridisegnare l’assetto commerciale globale al di fuori dell’influenza americana.
Già si intravedono segnali che diversi governi stiano cercando di intensificare gli scambi con la Cina e di accelerare la cooperazione commerciale regionale. In Asia, ad esempio, Giappone e Corea del Sud esaminano possibilità di accordi con Pechino, mentre i membri dell’ASEAN si muovono verso una maggiore integrazione.
L’annuncio di Trump rischia, inoltre, di creare un impatto negativo sull’economia mondiale, con conseguenze significative per gli Stati Uniti stessi. Il Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato come le nuove tariffe possano destabilizzare l’economia mondiale, mentre istituti come JPMorgan avvertono che una recessione globale potrebbe essere imminente.
Le reazioni degli altri paesi di fronte ai dazi americani potrebbero variare, con alcuni che potrebbero decidere di reagire in modo equivalente, esacerbando così le tensioni commerciali. Le intenzioni di Trump, per quanto riguarda il vero obiettivo finale di questa politica, restano tuttavia poco chiare. Se da una parte Eric Trump suggerisce che i dazi mirano a ottenere migliori accordi per gli Stati Uniti, dall’altra i consiglieri del presidente parlano di una “emergenza nazionale”.
La confusione genera incertezza su come interpretare le mosse degli USA, sia per quanto riguarda la riduzione degli squilibri commerciali, sia per la possibilità di utilizzare i dazi per sostenere la riforma fiscale interna. Le tariffe non sembrano essere la panacea che risolverà tutti i problemi economici e fiscali del paese, e il mondo osserva, pronto a ridefinire relazioni e strategie in un panorama commerciale globale sempre più incerto e frammentato.