Nella sua fase di ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha dimostrato che il confronto è un elemento cardine della sua politica. Sin dai primi giorni del nuovo mandato, ha messo in discussione l’approccio diplomatico del suo predecessore, improntato sulle alleanze, optando per una versione più aggressiva dell'”America First” 2.0. Le sue manovre hanno generato tensioni con importanti alleati in diversi continenti e predisposto il terreno per conflitti con altri leader, da cui Trump sembra uscirne vincitore, a livello politico, a prescindere dalle loro reazioni. Un esempio di questo modus operandi si è palesato nel recente conflitto con la Colombia, dove le divergenze sul trattamento dei migranti hanno quasi portato a una guerra commerciale.
Tuttavia, nel lungo periodo, la strategia di Trump potrebbe rivelarsi controproducente, contribuendo all’ulteriore destabilizzazione di un ordine globale già fragile e spingendo anche i partner economici più vicini verso Pechino. Jorge Heine, ex ambasciatore cileno in Cina, ha sottolineato la crescente preoccupazione dell’America Latina, dove si teme che un legame troppo stretto con gli Stati Uniti possa risultare oneroso. Questo alimenta la cooperazione con la Cina, che prospetta relazioni più strette. Il messaggio inviato all’America Latina è chiaro: un rapporto eccessivamente vincolante con Washington potrebbe comportare costi significativi.
La questione colombiana ha visto un escalation durante il fine settimana, quando le ostilità, quasi sopite, sono riesplose, rischiando di portare a una guerra commerciale. La tensione si è distesa solamente alla fine delle trattative dirette, momento in cui Trump ha rinunciato alla minaccia di un dazio del 25%, in seguito all’accettazione, da parte della Colombia, delle sue condizioni.
Nel contesto globale, la Colombia non è l’unica nazione a risentire dell’approccio belligerante di Trump. L’attenzione degli alleati è focalizzata sulle intenzioni del leader statunitense di sottrarre il controllo della Groenlandia alla Danimarca, riappropriarsi del Canale di Panama e imporre dazi pesanti su Messico, Canada ed Europa, arrivando persino a suggerire al Canada di diventare il 51° Stato americano per evitare tariffe doganali.
Nonostante la superiorità economica e militare degli Stati Uniti garantisca a Trump un certo vantaggio nei negoziati, i suoi atteggiamenti hanno colto di sorpresa anche i leader più preparati al suo ritorno. L’ex presidente Joe Biden, durante il suo mandato, aveva privilegiato la cooperazione multilaterale con alleati chiave, quindi il ritorno alla retorica di Trump appare particolarmente spiazzante.
Le dinamiche di questo stile provocatorio sono alimentate dai social media, dove Trump e i suoi sostenitori promuovono con enfasi la stretta all’immigrazione e l’approccio estero della nuova amministrazione, incuranti delle possibili ripercussioni economiche sugli stessi cittadini americani. Questo atteggiamento sembra mirare più al pubblico interno che a una reale strategia di politica estera.