La storia personale di Bianca Balti ha suscitato grande attenzione e commozione. La celebre top model, icona della bellezza italiana a livello globale, ha avuto il coraggio di rivelare di essere affetta da cancro delle ovaie. Ha scelto di raccontare la sua esperienza attraverso i social media, adottando un tono sobrio e onesto che è stato apprezzato dal pubblico. Anche la sua presenza come co-conduttrice per una serata al Festival di Sanremo nel 2025 ha mantenuto questa linea di trasparenza.

Il tumore ovarico di Bianca Balti è stato recentemente discusso da Domenica Lorusso, professoressa ordinaria presso l’Humanitas University e direttrice dell’Unità operativa di Ginecologia oncologica medica all’Humanitas San Pio X. Secondo Lorusso, le testimonianze pubbliche come quella di Bianca Balti hanno un impatto significativo sull’opinione pubblica. La modella ha esplicitamente scelto di non sottoporsi a un intervento per rimuovere le tube e le ovaie, sebbene consapevole del suo rischio genetico, poiché desiderava un’altra gravidanza. Di fronte alla malattia, che presenta grandi sfide, Bianca Balti ha condiviso con onestà la sua scelta passata e forse oggi opterebbe diversamente.

La professoressa ha sottolineato l’importanza delle strategie di prevenzione. Attualmente, è noto che circa il 50% dei tumori ovarici sierosi di alto grado potrebbe avere una componente ereditaria. Le mutazioni genetiche, come quelle BRCA, non causano direttamente il tumore, ma aumentano la predisposizione a vari tipi di cancro, come quelli dell’ovaio, del seno e del pancreas. A fronte del rischio, è possibile adottare misure di prevenzione primaria o secondaria per intercettare la malattia.

Le strategie di prevenzione primaria comprendono l’idea di rimuovere preventivamente organi a rischio, come nella mastectomia profilattica o nell’asportazione preventiva di tube e ovaie. Tuttavia, la prevenzione secondaria, che prevede esami regolari, è ancora limitata per il tumore ovarico. Nonostante le linee guida raccomandino eco e analisi del CA 125 ogni sei mesi, questi esami non riescono sempre a identificare il tumore in stadi iniziali.

Dal punto di vista della ricerca, nuove speranze si stanno aprendo grazie agli anticorpi farmacoconiugati. Questi rappresentano una metodologia innovativa nel trattamento dei tumori ginecologici, in quanto permettono un rilascio mirato del chemioterapico all’interno delle cellule tumorali. Anche se non eliminano completamente gli effetti collaterali, promettono risposte significativamente positive rispetto a trattamenti precedenti. Questi progressi scientifici potrebbero segnare un significativo cambiamento nella lotta contro i tumori.

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