Durante uno spettacolo, un bambino di circa sette anni rimane letteralmente senza parole osservando una cantante esibirsi sul palco indossando una minigonna. La sua reazione di stupore è evidente: occhi spalancati e bocca aperta, incantato dalla figura della donna o dal contesto straordinario del concerto. Per molti, l’attenzione del bambino sembra indirizzarsi più verso l’aspetto della cantante che verso l’evento stesso. Questo episodio fa parte di uno spot pubblicitario discusso, che vede la partecipazione di Diletta Leotta, nota conduttrice sportiva e volto di “UPower”, un marchio di calzature da lavoro.

Negli anni, le campagne pubblicitarie con Leotta al centro hanno talvolta giocato sulla sua avvenenza, ma in questa occasione l’accostamento delle immagini sembra aver superato un limite, attirando molte critiche. Una scena in cui lo sguardo incantato di un bambino è indirizzato su una donna sessualizzata ha suscitato un ampio dibattito sui social media. Numerosi commenti negativi hanno evidenziato l’inadeguatezza del messaggio, considerando la giovane età del bambino protagonista.

Tra gli opinionisti che hanno criticato la campagna vi è Selvaggia Lucarelli, che attraverso i suoi canali social ha espresso la sua perplessità. Nelle sue dichiarazioni, Lucarelli ha sottolineato il tono ormai superato di queste pubblicità, che continuano ad ammiccare al sesso usando il corpo delle donne come principale attrattiva. Sebbene inizialmente avesse scambiato l’attrice per Leotta stessa, ha successivamente corretto l’errore, ribadendo comunque la sua delusione per una pubblicità percepita come sessista e inadatta.

Nonostante nel video l’artista sul palco non sia effettivamente Leotta, lo spot è costruito in modo da suggerire il contrario, mantenendo il focus sulla sua figura. Questa scelta ha sollevato dubbi sull’opportunità per Leotta di prestare il suo volto a una campagna che, seppur indirettamente, avalla un’immagine della donna ridotta a semplice oggetto del desiderio maschile. La discussione attorno a questo spot evidenzia ancora una volta come il confine tra pubblicità e sensibilità sociale possa risultare talvolta difficile da mantenere.

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