Il Movimento 5 Stelle, nato come un esperimento rivoluzionario nel panorama politico italiano, ha da sempre puntato su una forte componente di populismo, inteso come una connessione diretta tra i leader e la base elettorale. Tuttavia, sotto la guida di Giuseppe Conte, questo populismo appare sempre più privo di una vera sostanza, ridotto a un’operazione di maquillage politico che fa fatica a mantenere viva la sua promessa di cambiamento radicale. La principale contraddizione del nuovo corso del Movimento è l’abbandono della regola dei due mandati, una delle sue fondamenta più rappresentative e simboliche, che ha segnato la rottura con l’idea originaria di un partito capace di rinnovarsi attraverso il merito e la partecipazione diretta.
La fine della rivoluzione: M5S e la dimenticanza dei vitalizi
Il Movimento 5 Stelle, che un tempo aveva fatto dell’eliminazione dei vitalizi e dei privilegi politici uno dei suoi cavalli di battaglia, sembra ormai aver dimenticato questa promessa fondamentale. Quando il M5S è nato, si era presentato come un’alternativa radicale ai partiti tradizionali, con un programma di rinnovamento che mirava a ridurre gli sprechi e a combattere i privilegi della classe politica. L’abolizione dei vitalizi era vista come un simbolo di questa lotta, un atto di giustizia sociale per restituire dignità ai cittadini, spesso esasperati dai benefici che i politici si erano auto-concessi.
Oggi, però, il Movimento sembra aver perso questa spinta iniziale. In un periodo in cui il M5S è ormai parte integrante del sistema politico italiano, con rappresentanti che occupano seggi in Parlamento e negli enti locali, l’eliminazione dei vitalizi non è più una priorità. Anzi, i parlamentari del Movimento sembrano aver accettato di buon grado le stesse condizioni che un tempo avevano promesso di combattere. La coerenza con le promesse originarie appare svanita, e quella che era una rivoluzione contro i privilegi della politica sembra ora essere diventata una “normalizzazione” della classe dirigente, con tutti i benefici che ne derivano. In questo contesto, l’ambizione del Movimento di voler rivoluzionare il sistema appare sempre più come una mera illusione, destinata a essere archiviata insieme ad altre promesse non mantenute.
Il populismo senza regole
Quando Giuseppe Conte ha preso in mano le redini del Movimento, si è presentato come il leader capace di portare il M5S fuori dalla crisi, ma la sua proposta politica non sembra contenere le premesse per un vero cambiamento. La decisione di abbandonare la regola dei due mandati, introdotta da Beppe Grillo per garantire il rinnovamento continuo della classe dirigente, ha rappresentato un passo indietro dal punto di vista della coerenza ideologica. La regola dei due mandati era uno degli aspetti distintivi del M5S, che si proponeva come alternativa ai partiti tradizionali, allontanandosi dalla logica del potere incancrenito e della carriera politica perenne. La sua rimozione rende difficile, se non impossibile, continuare a parlare di un vero populismo, dove il “popolo” è al centro del cambiamento e la politica non è una carriera per pochi eletti.
In un partito senza limiti ai mandati, le promesse di rinnovamento e partecipazione democratica perdono di significato. Conte sembra voler abbracciare un modello di partito più tradizionale, dove la permanenza al potere è incentivata piuttosto che limitata. In questo contesto, parlare di populismo appare un esercizio vuoto: senza la regola dei due mandati, il Movimento si allontana dall’idea di una politica “dal basso” e rischia di diventare un partito “standard”, simile a tanti altri, dove le cariche politiche sono detenute da una ristretta élite senza limiti e senza vero cambiamento.
Politici e clientele: la deriva inevitabile
Un altro rischio significativo derivante dall’abolizione della regola dei due mandati è che inevitabilmente i politici del Movimento, come in ogni altro partito tradizionale, inizieranno a coltivare le proprie clientele. La regola dei due mandati aveva, infatti, una funzione di argine contro questo fenomeno: limitando la permanenza in carica, impediva ai parlamentari di radicarsi troppo nel territorio e di costruire quel “bacino” di consenso che, in molti casi, finisce per trasformarsi in un sistema clientelare. Senza questa regola, non c’è più alcun freno naturale a quel meccanismo che da sempre ha caratterizzato i partiti tradizionali, dove i politici cercano di mantenere la propria posizione attraverso favori, promesse e alleanze locali.
L’abolizione di tale limite crea un ambiente fertile per la formazione di gruppi di interesse all’interno del partito, che cercano di mantenere il controllo su determinate aree o consensi elettorali. In un simile contesto, la politica si trasforma in una continua lotta per il mantenimento della propria posizione, spesso a scapito di un progetto politico coerente e orientato al cambiamento. Il populismo che si proclama contro i privilegi della politica rischia, quindi, di diventare un mero strumento per perpetuare il potere di pochi, senza affrontare davvero i problemi strutturali del sistema.
Grillo e la rivoluzione delle regole
Se Conte propone un partito standard, Beppe Grillo, almeno inizialmente, aveva fatto del Movimento 5 Stelle un laboratorio di idee politiche radicali, sfidando le convenzioni e proponendo una vera e propria rivoluzione delle regole. La regola dei due mandati, insieme ad altre innovazioni come la piattaforma Rousseau per la partecipazione diretta degli iscritti, rappresentava il cuore di un movimento che si contrapponeva ai partiti tradizionali. Grillo puntava a una struttura orizzontale e partecipativa, in cui le decisioni politiche non erano appannaggio di una ristretta classe dirigente, ma venivano prese dalla base, dai cittadini. L’idea di un movimento che rifiutava le regole consolidate dei partiti tradizionali ha avuto un impatto enorme sulla scena politica italiana, ed è stato il marchio di fabbrica che lo ha reso così popolare.
Le proposte di Grillo erano audaci e, a tratti, utopiche, ma avevano una forza dirompente, un progetto che mirava a stravolgere l’intero sistema politico italiano, non solo a sostituirlo. L’abolizione dei privilegi politici, la lotta alla corruzione, la democrazia diretta, la regola dei due mandati: tutti questi elementi costituivano una sfida vera e propria al sistema dei partiti, che stava diventando sempre più stantio e distante dai cittadini.
Conte e la normalizzazione del partito
Al contrario, il M5S di Conte sembra essersi incamminato su una strada di normalizzazione. Il leader ex-premier ha scelto di attenuare gli aspetti radicali che avevano caratterizzato il Movimento, cercando un equilibrio con le forze politiche tradizionali. La sua visione non sembra mirare a una vera e propria rivoluzione, quanto piuttosto a una continuità, anche a costo di svuotare il Movimento della sua spinta originale. La promessa di un “partito nuovo” sembra essersi trasformata in un partito che abbraccia tutte le dinamiche dei partiti tradizionali, senza la freschezza e l’autenticità che avevano spinto molti elettori a sostenere il M5S.
La scelta di rimuovere la regola dei due mandati è emblematicamente rappresentativa di questo cambiamento. In un contesto politico dove la democrazia interna e la partecipazione diretta sono sempre più necessarie, la decisione di non limitare il potere ai singoli rappresentanti rischia di snaturare la filosofia stessa del Movimento. Il populismo di Conte, quindi, appare privo di quella forza trasformativa che aveva reso il M5S un punto di riferimento per milioni di elettori.
Conclusioni
Il populismo di Giuseppe Conte, purtroppo, sembra ormai privo di sostanza. Senza la regola dei due mandati, che rappresentava il pilastro su cui poggiava il rinnovamento del Movimento, diventa difficile sostenere una vera e propria lotta contro il sistema. Grillo, con le sue proposte rivoluzionarie, aveva incarnato una sfida reale al tradizionale schema partitico, ma oggi il M5S sotto Conte sembra aver scelto una strada di normalizzazione. In questo nuovo corso, il populismo diventa una semplice etichetta priva di una visione in grado di cambiare davvero le regole del gioco politico italiano. Con l’abolizione della regola dei due mandati, il rischio di un ritorno alle dinamiche clientelari dei partiti tradizionali è inevitabile, trasformando il Movimento in un’altra macchina politica che coltiva interessi personali piuttosto che promuovere un cambiamento reale.