Il primo gruppo di richiedenti asilo selezionati in Italia è partito dal porto di Lampedusa e sta per raggiungere Shengjin, in Albania, come parte di un progetto congiunto tra i due Paesi. L’iniziativa rappresenta una svolta significativa nella gestione del flusso migratorio verso l’Europa, coinvolgendo persone che, secondo le leggi italiane, hanno scarse possibilità di ottenere asilo. Questo progetto è il frutto dell’accordo stipulato nel 2023 tra Italia e Albania per trasferire temporaneamente migranti in un Paese extra-UE, in attesa dell’esito delle loro domande d’asilo.

I migranti, principalmente uomini adulti e senza legami familiari, provengono da Paesi che l’Italia considera sicuri e sono stati individuati dopo essere stati intercettati dalle motovedette italiane. Attualmente, stanno viaggiando a bordo della nave militare Libra, già nota per aver preso parte a controversi episodi di salvataggio in mare nel 2013, quando non rispose a una richiesta di soccorso di naufraghi siriani. La nave è ora adibita a “hub” galleggiante per la gestione dei migranti diretti in Albania, con l’arrivo previsto al porto di Shengjin entro un paio di giorni.

A Shengjin, il primo dei due centri costruiti appositamente per questo scopo si estende su una superficie di 3.500 metri quadrati ed è presidiato da forze di sicurezza italiane. Qui, i migranti verranno accolti e sottoposti a identificazione, screening sanitario e riforniti di abbigliamento e beni essenziali. Il loro tempo di permanenza in questo centro sarà breve: si prevede infatti che l’intero processo di accoglienza, domanda d’asilo e preparazione al trasferimento verso il secondo centro, situato a Gjader, avverrà in giornata.

Il secondo centro, costruito su una collina a circa 20 chilometri da Shengjin, è destinato a ospitare fino a 400 richiedenti asilo. L’area, un ex sito militare dell’aeronautica albanese, è stata riconvertita dall’esercito italiano. Il complesso è diviso in tre settori principali: il primo è dedicato ai richiedenti asilo, con camere climatizzate da quattro letti e spazi comuni per consumare i pasti. La permanenza qui non supererà le quattro settimane, periodo massimo previsto dalla procedura accelerata per la valutazione delle richieste d’asilo. Al termine di questo periodo, se la richiesta viene accolta, i migranti potranno entrare legalmente in Italia, altrimenti verrà emesso un decreto di espulsione.

Il secondo settore del centro è destinato a chi, avendo ottenuto il diniego alla richiesta di asilo, è in attesa di essere rimpatriato. Si tratta di un’area fortemente sorvegliata, delimitata da barriere alte quattro metri e progettata per garantire la massima sicurezza. In questo spazio si terranno anche le udienze per la convalida dei rimpatri, che verranno svolte in remoto tramite un sistema di videoconferenze con le autorità giudiziarie italiane.

Il terzo settore del centro è una struttura detentiva con 20 posti, destinata a coloro che commettono reati durante la loro permanenza nei centri. Questa è la prima volta che l’Italia crea una struttura carceraria fuori dai propri confini nazionali, e ciò sottolinea la complessità del progetto. La responsabile del centro, Silvana Sergi, già direttrice del carcere di Regina Coeli, ha sottolineato le difficoltà di gestire un centro di accoglienza e un carcere in un Paese straniero, soprattutto in relazione al coordinamento con le autorità locali e internazionali.

L’intero esperimento rappresenta una novità anche sul piano legale, poiché l’Italia deve adeguarsi alle recenti sentenze della Corte Europea che impongono restrizioni sulla lista dei Paesi considerati sicuri. Questo aggiunge una sfida ulteriore alla gestione di migranti in transito verso l’Europa.

Il centro di Gjader è ancora in fase di espansione, con l’obiettivo di raddoppiare la capacità di accoglienza, portandola a circa 800 persone. Le autorità italiane e albanesi stanno ancora negoziando accordi per facilitare i rimpatri direttamente dall’Albania, ma la complessità della situazione richiede ancora tempo.

Questo progetto pone l’accento sulla necessità di nuove soluzioni per gestire l’immigrazione irregolare e ridurre la pressione sui confini dell’Europa, ma solleva anche numerosi interrogativi sull’efficacia di tali misure e sulle loro implicazioni per i diritti umani.

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