Nel corso del processo Open Arms a Palermo, la difesa di Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno e attuale vicepremier, ha presentato una tesi che sposta il focus dalle accuse mosse contro il leader della Lega al ruolo dell’organizzazione non governativa spagnola. Giulia Bongiorno, avvocata e senatrice del partito, ha sostenuto che l’intera operazione di salvataggio dei migranti da parte della ONG non fosse guidata da motivazioni umanitarie, ma da un preciso obiettivo politico: mettere in difficoltà il governo italiano e la sua politica sui porti chiusi.

L’episodio al centro del processo risale all’agosto del 2019, quando la nave di Open Arms recuperò un gruppo di migranti in mare, impedendo poi lo sbarco in Italia in attesa di una redistribuzione tra i paesi dell’Unione Europea. Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, rifiutò l’autorizzazione per lo sbarco, portando a un contenzioso legale che ha visto l’ex ministro accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio.

L’avvocata Bongiorno, durante l’arringa finale, ha sottolineato che Open Arms avrebbe avuto numerose opportunità di sbarcare i migranti in altri porti, come quelli in Spagna o Tunisia, ma avrebbe preferito prolungare la permanenza in mare per far pressione sull’Italia. Secondo la difesa, questa scelta non è stata dettata dalla necessità di tutelare i naufraghi, ma da un preciso intento di sfidare la politica italiana e ottenere un cambiamento nelle decisioni del governo.

A sostegno di questa tesi, Bongiorno ha citato un video girato il 20 agosto 2019, in cui un dirigente di Open Arms avrebbe affermato che l’operazione non era conclusa con lo sbarco dei migranti, ma con la caduta del ministro dell’Interno. Per la difesa, questa frase confermerebbe il carattere politico dell’intervento della ONG, che avrebbe cercato di sfruttare la vicenda per destabilizzare il governo italiano.

Il fulcro della difesa, dunque, è che Open Arms avrebbe agito non come un’organizzazione umanitaria, ma come un attore politico impegnato a sfidare le leggi italiane e la strategia dei porti chiusi promossa dall’esecutivo Conte I. Bongiorno ha argomentato che, se davvero l’intenzione fosse stata quella di salvare i migranti, la nave avrebbe potuto dirigersi verso altri porti sicuri piuttosto che insistere sullo sbarco in Italia. Questa insistenza viene descritta dalla difesa come una “manovra politica”, volta a mettere in difficoltà Salvini e il suo governo, piuttosto che una necessità umanitaria.

La difesa ha inoltre evidenziato che la nave spagnola, dopo aver effettuato i salvataggi, avrebbe “bighellonato” in mare per diversi giorni, dal 2 al 10 agosto, anziché dirigersi rapidamente verso un porto sicuro. Questo comportamento, secondo la tesi di Bongiorno, era finalizzato a prolungare l’attesa e aumentare la pressione sull’Italia affinché accettasse lo sbarco.

L’accusa, invece, sostiene che il rifiuto di Salvini di far sbarcare i migranti costituisse un sequestro di persona, un’accusa che potrebbe portare a una condanna fino a sei anni di reclusione. I pubblici ministeri hanno ribadito l’importanza dei diritti umani e il dovere di rispettarli, anche nel contesto di politiche migratorie rigorose. Secondo l’accusa, il diritto allo sbarco e alla protezione umanitaria non può essere subordinato a considerazioni politiche, e il comportamento di Open Arms si sarebbe limitato a rispettare questi principi fondamentali.

Il processo Open Arms rappresenta un confronto tra due visioni diametralmente opposte: da una parte la difesa di Salvini, che vede nell’operato della ONG un attacco politico mascherato da intervento umanitario; dall’altra, l’accusa, che sostiene il primato dei diritti umani e l’obbligo di soccorso verso chi rischia la vita in mare.

In attesa della sentenza, il caso solleva importanti questioni non solo sul piano giudiziario, ma anche su quello politico e umanitario, in un contesto dove il dibattito sull’immigrazione continua a dividere l’opinione pubblica italiana ed europea.

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