Una delle letture più diffuse sulla guerra in Ucraina è che le autocrazie, come quella russa, abbiano acquisito una forza tale da sentirsi pronte a sfidare, per la prima volta dopo quasi un secolo, l’ordine mondiale dominato dalle democrazie. Ma siamo davvero sicuri di questa interpretazione? Non potrebbe essere vero, al contrario, che sono proprio i regimi autocratici a sentirsi minacciati dal crescente confronto con le democrazie globali?
La globalizzazione ha avvicinato mondi che una volta erano separati da confini impenetrabili. Autocrazie e democrazie, che un tempo si confrontavano solo indirettamente, ora sono immerse in un interscambio costante. Informazioni, culture e stili di vita si intrecciano, e persino le fasce più basse delle società autocratiche, come in Russia o in Cina, hanno oggi accesso a contenuti che mostrano “l’altra faccia della luna”: la vita nelle democrazie occidentali.
Questo contatto sempre più ravvicinato genera un’insofferenza crescente nei regimi autoritari. Le autocrazie rispondono a piccoli spiragli di libertà con reazioni sproporzionate, soffocando brutalmente proteste, chiudendo giornali e limitando i diritti civili. In Russia, dove Putin sembra godere ancora di un consenso popolare attorno all’80%, secondo sondaggi attendibili, ci si potrebbe chiedere: perché reagire in modo così violento a manifestazioni di dissenso apparentemente insignificanti rispetto a una tale base di supporto?
Forse c’è qualcosa di più profondo in gioco. I metodi repressivi non sono semplicemente una misura di controllo, ma riflettono una crescente paranoia dei leader autoritari. Putin, ad esempio, potrebbe essere intrappolato in un circolo vizioso di egocentrismo e paura. Il suo crescente isolamento politico e personale potrebbe averlo spinto a credere di essere indispensabile per la Russia, incapace di immaginare un futuro per il Paese senza di lui. Questa mentalità lo rende più vulnerabile alle proprie paure, portandolo a vedere minacce dove forse non ci sono.
Lo stesso vale per altri regimi autocratici. La loro ossessione nel mantenere il potere non si limita a una questione politica, ma ha radici psicologiche profonde. In questo senso, Putin potrebbe essere vittima del suo stesso successo: più il suo consenso appare solido, più si sente obbligato a “spararla grossa” per mantenere un legame con il suo popolo. Questa spirale egocentrica potrebbe essere la chiave per capire l’assurdità della guerra in Ucraina, che sfida non solo i principi della razionalità politica, ma anche quelli più basilari dei diritti umani.
La guerra scatenata da Putin ha assunto proporzioni incontrollabili. Quello che doveva essere un intervento rapido e risolutivo si è trasformato in un conflitto devastante, in cui né Zelensky né Putin sembrano in grado di porre fine. Paradossalmente, il popolo russo e, ancor di più, quello ucraino, sembrano dimostrare una ferocia e una determinazione a combattere che superano la volontà dei loro leader. La guerra, una volta scatenata, diventa un mostro che sfugge al controllo di chi l’ha iniziata, travolgendo tutto e tutti, inclusi gli stessi protagonisti.
Questa guerra rischia di essere il canto del cigno per Putin, un leader che potrebbe trovarsi alla fine di un ciclo politico, travolto dagli eventi che lui stesso ha scatenato. Ma anche Zelensky, nonostante il suo ruolo di simbolo di resistenza per il popolo ucraino, potrebbe scoprire di essere trascinato in una spirale da cui è difficile uscire. Quando la guerra si radicalizza, le dinamiche sfuggono al controllo degli individui, diventando una questione di volontà collettive che spesso proseguono a prescindere dai leader.
In definitiva, la guerra in Ucraina non è solo un conflitto geopolitico, ma anche il sintomo di un malessere più profondo all’interno delle autocrazie. Se da un lato questi regimi sembrano sempre più decisi a sfidare l’ordine democratico globale, dall’altro mostrano segni di insicurezza e debolezza crescenti. Forse non sono le autocrazie a sentirsi più forti, ma piuttosto le democrazie, con il loro costante confronto globale, a esporre le fragilità di quei sistemi che si basano su repressione e controllo.