In Germania, recentemente, diverse persone sono state rimpatriate a Kabul, nonostante il regime talebano e l’instabilità del paese. Nessun segnale di opposizione da parte dei tribunali, nessun veto delle corti. In Italia, invece, un provvedimento del genere sarebbe impensabile. Non perché il governo non lo voglia, ma perché i giudici bloccherebbero tutto, appellandosi a principi internazionali e cavilli giuridici. E qui emerge uno dei problemi più profondi del nostro sistema: la magistratura italiana ha un’influenza smisurata su questioni che dovrebbero essere esclusivamente politiche, senza rispondere al popolo né essere soggetta a un reale controllo democratico.

A differenza di quanto avviene in altri Paesi, come gli Stati Uniti, in Italia i magistrati non devono fare i conti con il consenso popolare. Negli USA, molti giudici sono eletti dai cittadini o sono soggetti a riconferme periodiche. Questo li costringe a mantenere un legame diretto con le esigenze della comunità. In Italia, invece, i giudici godono di un’autonomia pressoché illimitata che li sottrae a qualsiasi controllo democratico. Questo sistema permette loro di intervenire pesantemente su questioni fondamentali, come l’immigrazione, spesso ignorando o ribaltando le decisioni prese dal governo o dal parlamento, gli organi democraticamente eletti.

Questa disconnessione tra il potere giudiziario e il popolo rappresenta una grave anomalia nel nostro Paese. La magistratura, che dovrebbe limitarsi a garantire il rispetto delle leggi, assume invece un ruolo politico, decidendo di fatto chi può restare e chi deve essere espulso. E lo fa senza alcun obbligo di rendere conto ai cittadini che subiscono le conseguenze di queste decisioni.

Prendiamo il caso dell’immigrazione. In Germania, nonostante i rischi evidenti legati alla situazione afghana, lo Stato ha deciso di rimpatriare alcuni immigrati. In Italia, appena si tenta di far rispettare un decreto di espulsione, si assiste immediatamente a una serie di ricorsi, blocchi giudiziari, sospensive, che paralizzano ogni tentativo di gestione rigorosa. La magistratura decide, ignorando completamente le preoccupazioni di una parte significativa della popolazione, che chiede maggiore controllo e sicurezza.

E qui si apre un altro nodo: la clamorosa difformità di giudizio. Quando il Partito Democratico era al governo, con Minniti e Lamorgese, non si sono viste proteste giudiziarie per operazioni come gli accordi con la Libia, che hanno contribuito a trattenere migliaia di migranti nei famigerati lager libici. Campi di detenzione dove le condizioni umanitarie sono state definite “disumane” da molte organizzazioni internazionali. O pensiamo a quando la Lamorgese, da ministro dell’Interno, tratteneva per 18 giorni intere navi di migranti bloccate in mare. Nessuna interferenza da parte della magistratura. Tutto passato sotto silenzio. E questa sarebbe democrazia?

La disparità è evidente. Da una parte, un governo che cerca di adottare una linea dura sull’immigrazione viene costantemente ostacolato dalla magistratura. Dall’altra, lo stesso apparato giudiziario ha chiuso un occhio, quando non addirittura ambedue, di fronte a decisioni altrettanto discutibili prese da altri governi, dimostrando una chiara inclinazione ideologica.

Questa disuguaglianza nei giudizi non è un semplice problema tecnico. È una questione di sovranità e democrazia. Se i diritti umani vanno difesi, è altrettanto vero che le decisioni in materia di immigrazione dovrebbero spettare a chi è stato eletto dal popolo, non a chi agisce dall’interno di un sistema giudiziario che, di fatto, governa senza essere governato. In Italia, la magistratura spesso non si limita a interpretare le leggi, ma le riscrive, impedendo al governo di attuare politiche di controllo sull’immigrazione che sono il frutto del mandato elettorale.

Le conseguenze di questo squilibrio fra poteri sono devastanti. Politiche migratorie efficaci sono state bloccate per anni da interventi giudiziari, creando un senso di insicurezza e di impotenza tra i cittadini. La magistratura italiana, che dovrebbe essere un arbitro imparziale, è diventata un attore politico a tutti gli effetti, con un’influenza eccessiva e non soggetta al controllo del popolo.

È chiaro che un riequilibrio tra i poteri dello Stato è ormai indispensabile se si vuole ristabilire la centralità della sovranità popolare. Le decisioni in materia di immigrazione devono tornare nelle mani di chi è stato eletto, senza che la magistratura si erga a contro-potere. Se non si ripristinerà questo equilibrio, continueremo a vedere un’Italia incapace di gestire in maniera efficace una delle sfide più urgenti del nostro tempo.

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