Maurizio Landini, segretario della CGIL, ha recentemente lanciato un appello a una “rivolta sociale” contro le politiche economiche del governo. La dichiarazione, in vista dello sciopero generale del 29 novembre, ha sollevato reazioni di incredulità e critiche da più parti, lasciando intendere che il sindacato si stia dirigendo verso uno scontro aperto piuttosto che un dialogo costruttivo. La scelta di un linguaggio così estremo, inoltre, solleva dubbi sulla sua efficacia nel rappresentare i bisogni reali dei lavoratori, e anzi rischia di apparire poco concreta in un periodo in cui milioni di italiani vivono sotto la pressione di un’economia incerta.
Landini ha invocato la necessità di una mobilitazione ampia, suggerendo che la legge di bilancio è solo uno dei tanti problemi che il paese deve affrontare. Il segretario della CGIL non sembra quindi accontentarsi di uno sciopero isolato: parla di una vera “battaglia democratica” in cui lavoratori e cittadini dovrebbero unirsi per cambiare il paese, anche attraverso l’uso dei referendum. Tuttavia, le sue parole – pur evocative – mancano di proposte chiare e rischiano di apparire lontane dalla quotidianità di chi fatica a pagare le bollette.
Nel frattempo, Landini può concentrarsi senza troppi affanni sulle strategie di mobilitazione, contando su un incremento di circa 250 euro mensili che ha recentemente portato il suo stipendio a 4000 euro nette. D’altronde, si sa, ogni rivoluzione ha i suoi costi, e la distanza tra proclami e realtà non è mai stata un problema per certi rivoluzionari: soprattutto per quelli con un contratto sicuro, ben remunerato e lontano dalle difficoltà economiche della classe lavoratrice.
Il richiamo alla “rivolta sociale” appare dunque come un paradosso. In un periodo di inflazione e crescenti disparità economiche, i lavoratori sembrano più interessati a trovare risposte concrete e soluzioni immediate che non a una “rivoluzione” teorica. Una retorica di protesta così forte, da parte di un leader sindacale con un salario stabile, rischia di risultare anacronistica, eccessiva, e persino ironica agli occhi di chi ogni giorno lotta davvero per arrivare a fine mese.