Nel cuore delle strategie occidentali per contrastare le mire della Russia si trova Mihail Kogălniceanu, una località sulla costa del Mar Nero in Romania. Questo piccolo centro è attraversato da mezzi pesanti diretti verso il porto di Constanța, un nodo cruciale per l’esportazione di grano ucraino durante il conflitto. Nelle vicinanze, un aeroporto militare della NATO è in fase di trasformazione per diventare, entro il 2030, la più grande base dell’alleanza in Europa, con l’arrivo previsto di circa 10.000 soldati.
Nonostante l’importanza strategica della zona, alle recenti elezioni presidenziali gli abitanti hanno espresso un ampio sostegno per Călin Georgescu, un candidato apparentemente favorito dalla Russia. Il successo di Georgescu ha scatenato una crisi di fiducia tra le élite del Paese. Questo politico nazionalista, noto per il suo scetticismo verso la NATO e l’Unione Europea, è emerso inaspettatamente come un serio contendente. In risposta, il presidente in carica Klaus Iohannis ha pubblicato documenti segreti che suggeriscono che il voto sia stato compromesso da un attacco “ibrido” sostenuto dalla Russia e da una vasta campagna di influenza attraverso TikTok.
A seguito di queste rivelazioni, la Corte Costituzionale rumena ha annullato l’intero processo elettorale, lasciando il Paese in uno stato di smarrimento mentre i partiti politici cercano di formare un governo di coalizione. Fino alla conclusione di questo processo, i rumeni non sapranno quando potranno votare di nuovo per un nuovo presidente. Il futuro politico di Georgescu resta incerto: molti ritengono che potrebbe essere squalificato in seguito alla sentenza della corte.
Le ragioni del successo di Georgescu sono già evidenti per molti rumeni: non si tratta tanto di un’improvvisa affinità per la Russia o per l’estrema destra, quanto piuttosto di una profonda delusione verso una classe politica percepita come distante e indifferente. Secondo Oana Popescu-Zamfir, direttrice del GlobalFocus Center, un think tank di politica estera e sicurezza con sede a Bucarest, molti cittadini ritengono che tutto sia manipolato e deciso a porte chiuse, rendendo irrilevante l’aspetto pubblico della politica.
L’improvviso successo di Georgescu ha colto di sorpresa molti liberali rumeni, spingendoli a esaminare rapidamente la sua attività online per capire le sue posizioni e origini. Questo candidato sconosciuto, privo di un partito politico, di un profilo nei media tradizionali e di un supporto infrastrutturale per la campagna, sembrava inarrestabile nella sua corsa alla presidenza. Tra le sue posizioni controverse si annoverano critiche all’UE e alla NATO, l’opposizione all’estensione dei diritti LGBTQ+ e il sostegno a leader storici controversi.
Le istituzioni non sono rimaste a guardare. Dopo la pubblicazione dei documenti da parte del presidente Iohannis, le autorità rumene hanno descritto la campagna di Georgescu come il risultato di un’operazione di interferenza sostenuta dalla Russia. Un dossier declassificato ha rivelato che i messaggi anti-occidentali di Georgescu sono stati amplificati da un esercito di 25.000 account TikTok, simili a bot, attivati per mobilitare i suoi sostenitori.
Nonostante queste rivelazioni, parte della popolazione si è mobilitata in favore di Elena Lasconi, candidata del partito Unione Salva Romania, vista come l’alternativa europeista al ballottaggio. Sebbene avesse una limitata esperienza politica, essendo stata sindaco di una cittadina, la sua figura è stata percepita come un simbolo della lotta per riaffermare l’identità europea del Paese. Migliaia di persone sono scese in piazza, sventolando bandiere dell’UE accanto a quelle nazionali, per dimostrare il loro sostegno.
La situazione in Romania ha sollevato numerosi interrogativi e polemiche che probabilmente continueranno ad animare il dibattito politico per molti anni. Al centro del confronto restano il ruolo dell’influenza russa e il potere delle campagne digitali nel plasmare l’opinione pubblica.