Per la prima volta dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il malcontento tra i cittadini russi sta assumendo una dimensione politica più marcata. Le critiche contro il Cremlino e la sua gestione della cosiddetta “operazione militare speciale” si stanno facendo più esplicite e si diffondono attraverso canali come Telegram. A guidare queste proteste sono soprattutto i cittadini delle regioni di confine, come quelli di Kursk, che si sentono abbandonati e traditi da Mosca e dall’establishment politico.
Il Contratto Sociale di Putin in Discussione
Il “contratto sociale” offerto da Vladimir Putin al popolo russo è sempre stato chiaro: l’operazione militare in Ucraina sarebbe rimasta lontana dalle case dei cittadini comuni, un conflitto distante da vivere solo attraverso la propaganda ufficiale. I russi avrebbero potuto ignorarne l’esistenza se non per i benefici economici che il Cremlino distribuiva a pioggia sotto forma di rubli ai coscritti, alle loro famiglie, e all’apparato militare-industriale. Tuttavia, questo accordo tacito sembra essere in crisi.
Le proteste crescenti sui social media, in particolare su Telegram, dimostrano che i russi nelle regioni di confine, come Kursk, stanno cominciando a mettere in discussione questa narrativa. Sentendosi esposti e vulnerabili, iniziano a puntare il dito contro l’indifferenza del resto del paese e la gestione politica da parte dei vertici militari e del Cremlino.
La Frattura tra il Centro e le Periferie
Le critiche non sono rivolte solo al governo, ma anche agli altri cittadini russi. La percezione diffusa tra gli abitanti delle regioni di confine è che i loro concittadini delle grandi città, come Mosca o San Pietroburgo, vivano in una sorta di bolla di ignoranza e indifferenza. Un esempio particolarmente eloquente viene da una cittadina di Kursk, che su Telegram si identifica come “Irina”. Il suo commento è diventato virale per aver colto una verità condivisa: “E così sono arrivati a Mosca. Le regioni di frontiera vivono come su un vulcano, mentre in altre città la gente non sa neanche cosa sta accadendo”.
Questo sentimento di abbandono e rabbia verso chi vive lontano dalle zone di conflitto è confermato anche da altri commenti. “Dora la fata”, un’altra utente attiva su Telegram, ha risposto a Irina con un’amara constatazione: “È assolutamente vero. Ho viaggiato in varie città e dopo Voronez (250 km dal fronte) la guerra non esiste”. Il messaggio è chiaro: c’è una netta divisione tra chi vive quotidianamente le conseguenze del conflitto e chi può permettersi di ignorarlo completamente.
Critiche Dirette a Shoigu e Putin
Non si tratta solo di divisioni sociali. Le critiche si stanno facendo sempre più esplicite nei confronti della leadership politica e militare del paese. A finire nel mirino delle proteste sono figure di spicco come il ministro della Difesa Sergei Shoigu e lo stesso presidente Putin. Gli abitanti delle regioni di confine accusano il governo di non fare abbastanza per proteggere le loro comunità dagli attacchi e dalle ripercussioni del conflitto.
L’assenza di protezione adeguata, l’indifferenza percepita del resto del paese e la sensazione di essere usati come pedine in un gioco politico più grande hanno innescato un sentimento di ribellione che, pur limitato, sta crescendo. Le proteste su Telegram riflettono un malcontento che va al cuore dell’attuale ordine politico russo e del suo consenso.
La Bolla si Sta Rompendo?
Mentre la guerra si trascina e le sue conseguenze diventano sempre più tangibili per le comunità di confine, l’illusione di una Russia unita e compatta dietro le sue leadership potrebbe cominciare a sgretolarsi. Il crescente malcontento è un segnale che l’opinione pubblica russa potrebbe non essere più così disposta a ignorare la realtà della guerra. Le divisioni interne stanno diventando sempre più evidenti e, con esse, le crepe nell’immagine di un potere monolitico.
Le critiche aperte al Cremlino rappresentano una novità per una società dove il dissenso è spesso represso e marginalizzato. E mentre le voci di protesta aumentano, il governo di Putin si trova ad affrontare una nuova sfida: mantenere il controllo non solo sul fronte esterno, ma anche sul fronte interno. Il rischio è che le proteste di oggi possano trasformarsi in un movimento di contestazione più ampio, mettendo in discussione l’intero contratto sociale su cui si basa il potere del Cremlino.