A partire dai tempi di Nikita Krusciov, Mosca ha iniziato a entrare nel gioco Mediorientale, fornendo armi e consiglieri militari a paesi come l’Egitto e l’Iraq in cambio di risorse petrolifere. Questo legame, però, si è allentato durante il mandato di Boris Eltsin, che ha aperto le porte all’Occidente. La svolta si ebbe nel 2005, quando Vladimir Putin, iniziando a distanziarsi dagli USA e dall’Europa, invitò Bashar al Assad per la prima volta. Da quel momento, i rapporti tra Mosca e Damasco si sono intensificati attraverso incontri regolari.

Nel gennaio del 2020, durante il Natale ortodosso, Putin donò un Corano seicentesco ad Assad, entrando insieme nella Grande Moschea degli Omayyadi di Damasco. Quel viaggio in Siria venne definito dal generale russo Kostiukov, capo dell’intelligence militare del GRU, come la missione più ardua della sua carriera. Tale collaborazione tra i due leader è stata costantemente utilizzata da Mosca come strumento di posizionamento anti-occidentale.

Nel 2014, Putin affermò che “qualsiasi cosa gli USA tocchino, si trasforma subito in Libia o Iraq”, mettendo in relazione la situazione in Ucraina con la guerra civile siriana. Durante le primavere arabe del 2011, la Russia pose il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che condannava le azioni violente del regime di Assad, appellandosi al precedente disordine libico.

Sebbene l’aspetto commerciale del legame Mosca-Damasco sia diventato marginale, il petrolio siriano ha subito un drastico calo di produzione durante la guerra civile. Inoltre, l’alleato regionale dell’Iran è ora distratto da altre vicende, e il Mediterraneo è sempre più controllato da flotte straniere. La Siria, a differenza dell’Ucraina, non ha mai rivestito uno specifico peso geopolitico.

Da anni, Putin ha usato la questione siriana come un ulteriore credito strategico da spendere in future negoziazioni internazionali più cruciali in chiave ucraina. Questo è un concetto sostenuto da Mark Galeotti, esperto di sicurezza russa. Assad ha persino dichiarato nel 2011 che non avrebbe mai lasciato la Siria per pressioni occidentali – una frase che oggi assume un significato differente.

Negli ultimi tempi, Mosca tende a spingere la questione siriana sullo sfondo, segno che l’attenzione russa è ormai focalizzata altrove, principalmente sulla situazione ucraina. Atti come l’asilo politico ad Assad verranno sfruttati nelle negoziazioni opportune. Le recenti parole di Putin al Cremlino, che sottolineavano il rischio di un peggioramento della situazione regionale, indicano un cambiamento di tattica. La Siria sta diventando un dettaglio in una strategia che si muove su scacchiere ben più ampie, ed emergono segnali di una possibile nuova direzione nella politica estera di Mosca.

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