Il 31 dicembre del 1999, un giorno che il mondo intero aveva gli occhi puntati altrove a causa del temuto millennium bug, Boris Eltsin fece un annuncio inaspettato. Con passo lento e tono contrito, il primo presidente democraticamente eletto della Russia chiese perdono per non essere riuscito a trascinare il paese verso un radioso futuro di progresso. Era tempo per lui di ritirarsi, lasciando l’incarico a una figura allora poco conosciuta: Vladimir Putin, sin lì coinvolto in vari ruoli governativi ma lontano dai riflettori.
Putin, un tempo funzionario del KGB, aveva assunto il ruolo di presidente ad interim già a settembre di quell’anno. Malgrado l’apparenza anonima, il suo ascenso al potere si rivelò rapido e determinato. Con una serie di mosse tattiche, consolidò la sua posizione eliminando coloro che inizialmente lo avevano supportato. Tra questi, spiccano il magnate Boris Berezovskij e l’oligarca Mikhail Khodorkovsky, il cui arresto e l’espropriazione dei suoi beni segnano un cambio di rotta lucidamente calcolato per irrobustire il nuovo corso politico.
Inizialmente, i leader mondiali accolsero con favore Putin, vedendolo come un alleato affidabile e un simbolo di stabilità. Il cancelliere tedesco Gerhard Schröder e molti altri lo considerarono un democratico senza macchie. All’inizio del nuovo millennio, Putin stesso parlava della Russia come parte integrante dell’Europa, avviando un dialogo di amicizia con i paesi occidentali.
Ma nel 2007, in un discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, la retorica mutò. Putin accusò esplicitamente l’Occidente di fomentare instabilità nei paesi post-sovietici come l’Ucraina e la Georgia, inaugurando una nuova fase di tensioni internazionali. Questa brusca virata trovò riscontri anche in atti concreti, come l’invasione della Georgia nel 2008.
L’Occidente, pur critico, mantenne comunque un misto di condanna e compromesso nei confronti di Mosca, spesso ignorando le ossessioni del Cremlino per il proprio territorio e la sicurezza dei confini. Putin, nel frattempo, continuava a godere di un ampio sostegno in Russia, nato dalla percezione di molti che egli fosse l’incarnazione stessa della grandezza nazionale perduta con il collasso dell’Urss.
Questo contesto influenza l’evolversi della situazione fino al conflitto attuale, con una Russia desiderosa di rivendicare la sua supremazia geopolitica. Nonostante le sanzioni e i moniti internazionali, l’opinione pubblica russa resta spesso compatta dietro la figura del presidente, percepito come simbolo di una rivincita storica.
Gleb Pavlovskij, ex consigliere di Putin, descriveva il presidente come la sintesi di un desiderio collettivo di un ritorno alla grandezza. La traiettoria intrapresa da Putin sembra inseparabile da quest’ambizione, ed è questo il nodo gordiano del suo lungo regno al Cremlino. Con il suo venticinquesimo anno al potere, il mondo osserva, cercando di capire se il leader russo riuscirà a compiere il suo obiettivo, oppure si troverà a fronteggiare un insuccesso che potrebbe redefinire gli equilibri del futuro globale.