La mobilitazione nazionale dei trasporti pubblici in corso oggi si propone non solo come un segnale di disagio da parte dei lavoratori del settore, ma anche come un’espressione di pressione sui conti pubblici. Indetto dai principali sindacati del comparto – Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Faisa Cisal e Ugl Fna – lo sciopero richiede l’attenzione del governo su temi come il rinnovo del contratto, una maggiore sicurezza e un incremento delle assunzioni. Tuttavia, se la richiesta di aumentare le risorse per il trasporto pubblico rappresenta una sfida importante per i lavoratori, dall’altra parte solleva interrogativi non banali sulla sostenibilità economica dell’Italia. Infatti, le richieste dei sindacati, se accolte, si tradurrebbero in un ulteriore aggravio sul bilancio dello Stato, alimentando quella spirale di maggiore spesa e debito pubblico da cui il Paese fatica a liberarsi.
La pressione sul bilancio pubblico
In un contesto di economia fragile, l’Italia si trova già oggi a fare i conti con una situazione di bilancio molto delicata. Il debito pubblico è tra i più alti al mondo, e l’impiego di risorse straordinarie per sostenere spese strutturali nel settore del trasporto pubblico rischia di aumentare ulteriormente il deficit. Richieste di rinnovo contrattuale, aumento delle assunzioni e maggiori fondi per la sicurezza, per quanto comprensibili dal punto di vista dei lavoratori, implicano costi ingenti che andrebbero inevitabilmente a gravare sulle finanze pubbliche.
Le rivendicazioni sindacali, nella loro semplicità, si scontrano con la realtà delle casse dello Stato, già svuotate da politiche che in passato hanno comportato spese elevate con impatti economici limitati. Tra queste politiche, il recente Superbonus al 110% rappresenta un esempio emblematico di una spesa pubblica che, sebbene motivata dall’urgenza di rilanciare l’edilizia e l’economia, ha finito per lasciare un’eredità di spese non coperte e un aumento del debito, rendendo ancora più difficile sostenere le nuove richieste di investimento.
Un’ideologia sindacale di spesa che rischia di affondare il paese
I sindacati, attraverso lo sciopero e le loro richieste, sembrano insistere su un modello che fa leva su una spesa pubblica crescente come soluzione ai problemi strutturali. Ma in un Paese come l’Italia, con una crescita economica debole e un debito pubblico insostenibile, l’aumento della spesa non è solo una risposta inefficace, ma potrebbe anche rivelarsi un boomerang per l’economia nazionale. Senza contare che le spese pubbliche, una volta inserite nel bilancio, difficilmente potranno essere ridimensionate, anzi rischiano di diventare un onere sempre più pesante per le generazioni future.
L’insistenza dei sindacati per una maggiore spesa pubblica e un ampliamento delle assunzioni non considera l’attuale contesto economico globale, che impone a ogni paese di ridurre le spese superflue e limitare il ricorso al debito per mantenere stabilità e fiducia nei mercati. Questa linea politica, che ha funzionato in decenni passati, oggi si scontra con le richieste di rigore e con la necessità di ripristinare credibilità sui mercati internazionali.
Il dilemma del Governo: Assecondare o contrastare la linea dei sindacati?
Il governo si trova quindi in una posizione complessa: ascoltare le legittime richieste dei lavoratori del settore, senza compromettere ulteriormente un equilibrio finanziario già fragile. Sostenere il rinnovo contrattuale e l’assunzione di nuovo personale potrebbe richiedere interventi fiscali importanti che, in un periodo di pressioni inflazionistiche, rischiano di destabilizzare ulteriormente l’economia.
D’altra parte, l’Italia ha appena avviato una serie di misure per ridurre gradualmente il debito pubblico e rientrare nei parametri di sostenibilità richiesti dalla Commissione Europea. Perdere di vista questi obiettivi, attraverso una concessione indiscriminata di risorse, potrebbe mettere il Paese sotto osservazione e provocare una reazione negativa dei mercati. Anche il recente Superbonus ha dimostrato come interventi dispendiosi, anche se pensati per stimolare l’economia, possano risultare controproducenti quando mancano coperture adeguate.
Un appello alla responsabilità economica
In questa cornice, il rischio è che le proposte avanzate dai sindacati si rivelino anacronistiche e inadeguate al contesto attuale. Una maggiore spesa pubblica, non accompagnata da una pianificazione attenta e da riforme di struttura, potrebbe tradursi in un aumento di tasse o di altri tributi per finanziare le nuove assunzioni e coprire le spese operative. Il Paese, in tal senso, non può permettersi di seguire una linea che prediliga soluzioni a breve termine e continui a ricorrere a debito per risolvere problematiche strutturali.
Alla luce di queste considerazioni, risulta evidente che, se da un lato lo sciopero nazionale vuole porre l’attenzione sui diritti e le tutele dei lavoratori del trasporto pubblico, dall’altro occorre evitare di scivolare in una dinamica di pressione per una spesa incontrollata. Un approccio ponderato e bilanciato è essenziale per evitare che l’Italia finisca in una trappola di spesa pubblica insostenibile, con conseguenze che potrebbero ripercuotersi non solo sui lavoratori attuali, ma anche sulle generazioni future.