Negli ultimi anni, si è osservato come gli scioperi, originariamente strumenti di lotta per i diritti dei lavoratori, siano diventati sempre più spesso terreno di manovra politica per i vertici sindacali. Questa deriva non solo compromette la vera natura delle rivendicazioni, ma rischia anche di trasformare i lavoratori in mere pedine di un gioco politico che non tiene conto delle loro reali esigenze.

Le recenti tensioni legate a scioperi indetti dai sindacati, soprattutto quando si inseriscono elementi di geopolitica internazionale nelle motivazioni, evidenziano un problema di strumentalizzazione. Ad esempio, l’inclusione di questioni come il conflitto israelo-palestinese tra le ragioni di uno sciopero che dovrebbe essere focalizzato su questioni prettamente lavorative è stata oggetto di critiche e ha generato profondi dissidi, come testimoniato dalle reazioni delle comunità ebraiche italiane. Queste iniziative, che tendono a confondere e sovrapporre lotta sindacale e posizioni politiche, lasciano perplessi molti osservatori e alimentano il sospetto che dietro lo sciopero ci siano fini politici più che una reale volontà di tutelare i diritti dei lavoratori.

Purtroppo, i lavoratori, specialmente quelli con minore accesso all’istruzione, possono non percepire immediatamente queste dinamiche. La loro fiducia nei sindacati li porta a seguire direttive che potrebbero, senza che se ne rendano conto, essere strumentalizzate per fini politici personali di chi guida i sindacati stessi. Il rischio è che i problemi reali, quelli legati alle condizioni di lavoro e alle rivendicazioni salariali, passino in secondo piano rispetto ad agende che rispondono più a un bisogno di visibilità politica che a una reale tutela dei diritti.

Il caso dello sciopero, bloccato dal tentativo di precettazione da parte del governo e poi rilanciato da una sentenza del Tar, dimostra come ogni mossa diventi un’occasione per accendere polemiche che nulla hanno a che vedere con l’universo lavorativo. A tutto ciò si aggiunge il problema di come certi sindacati decidano di abbracciare cause che risuonano mediaticamente, come dimostrato dalla pretestuosa associazione tra Israele e genocidio, per carpire consenso e visibilità, a costo di alimentare tensioni e stereotipi che possono sfociare in odio e antisemitismo.

Queste tattiche a lungo termine non fanno che indebolire la causa dei lavoratori, che rischiano di essere sempre più emarginati in un contesto in cui le loro problematiche finiscono per essere una nota a margine di una più ampia e discutibile narrativa politica. Alla fine, la strumentalizzazione dei lavoratori da parte di dirigenti sindacali alla ricerca di una passerella politica non solo tradisce la fiducia riposta in loro, ma smarrisce anche il vero essenza della lotta sindacale, cioè migliorare la vita di chi lavora e non inseguire ambizioni personali o ideologiche lontane dai bisogni dei propri aderenti.

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