Nel 1891, mentre lo scrittore Thomas Hardy pubblicava il suo celebre romanzo “Tess dei d’Urberville”, un dipinto di Giovanni Segantini suscitava notevole dibattito. Segantini, separatosi da Milano cinque anni prima per trasferirsi a Savognino nel Cantone Grigioni, stava rifinendo le ultime pennellate di un’opera dal titolo provocatorio: “Il castigo delle lussuriose”.
Il quadro, completato dopo una lunga riflessione sulla pittura e sulla maternità, rappresenta un paesaggio innevato e gelido, con quattro figure femminili sospese nello spazio, oppresse dal clima rigido. Le donne, raffigurate seminude con il seno esposto, sembrano vagare come spiriti tormentati e imprigionati in un freddo opprimente. Guardando più attentamente, si scopre che il dipinto solleva quesiti profondi sul significato della maternità e del suo rifiuto.
Segantini, originario di Arco e rimasto orfano di madre in tenera età, nutriva un rispetto profondo e quasi ossessivo per la figura materna. Questa venerazione lo portò a esplorare il tema della maternità in molti dei suoi lavori. Nelle sue lettere, il poeta Dino Campana disse che Segantini esprimeva divinamente la “religione della maternità del lavoro e dell’amore”. L’artista stesso trovava conforto in Bice Bugatti, sua compagna e madre dei suoi quattro figli, simbolo del faro rappresentato dalla figura materna.
Per Segantini, l’arte non era solo tecnica. Dopo aver affermato il suo stile divisionista, il suo viaggio esistenziale lo portò dalla mondanità di Milano alla serenità delle montagne, luoghi che offrivano un mondo autentico e spirituale, lontano dalle distrazioni della città moderna. Questo approccio artistico è evidente nel suo dipinto “Le due madri” (1889), che ritrae con delicata luce una scena di maternità umana e animale, esplorando una connessione tra creatura e istinto.
Segantini, con “Il castigo delle lussuriose”, affronta un tema audace per il suo tempo: la scelta delle donne di non diventare madri. Inspiratosi a un’opera poco memorabile di un commediografo, il dipinto esplora l’immagine della “mala madre”, la donna che volontariamente rinuncia alla procreazione. Utilizzando simbolismo e colori divisionisti, Segantini estrinseca il tema dell’incertezza esistenziale e dell’emotività legata alla mancanza di maternità. Le figure femminili appaiono bloccate in un paesaggio sterile e gelido, simbolo di una vita non compartecipe all’atto creativo della vita.
In seguito, con “Le cattive madri” (1894), Segantini continua il suo dialogo sulla maternità e libertà femminile, concedendo alle donne raffigurate una possibile redenzione. Questa ricerca artistica si evolve in una raffinata espressione di emotività e simbolismo, confermando Segantini come un pioniere nel coniugare arte e riflessione metafisica.