La recente tendenza a premiare film (presuntamente) indipendenti, nonostante non sempre siano irresistibili, sta generando conseguenze preoccupanti. L’ultimo caso emblematico è quello del film “Anora”, che dopo aver conquistato i sostenitori del cinema indie per aver battuto Netflix e il suo “Emilia Pérez”, rischia di diventare simbolo di una svolta politica legata alla presidenza di Donald Trump. La presenza del russo Yura Borisov nella cerchia dei candidati agli Oscar come attore non protagonista, grazie alla sua interpretazione in “Scompartimento n. 6”, non è sfuggita all’attenzione della diplomazia russa che vi ha trovato un segnale di presunta vicinanza a Putin, sebbene tali interpretazioni siano infondate e alimentate da una deriva moralista all’interno dell’Academy.
Alla sua novantasettesima edizione, l’Academy ha applicato per la prima volta rigide regole sull’inclusività per la selezione dei candidati, il che ha offuscato il peso delle qualità artistiche. Le polemiche recenti hanno coinvolto anche i passati tweet di Karla Sofia Gascón, che hanno escluso il film di Jacques Audiard da riconoscimenti più prestigiosi. La nomination per Borisov, che non ha espresso opinioni sull’invasione dell’Ucraina, è invece interpretata come un atto di politica pro-Putin, nonostante sia stata probabilmente favorita dall’entusiasmo per “Anora”, un film gradevole ma non eccezionale.
Quelli che sembrano essere movimenti di diplomazia o precisi schieramenti politici all’interno dell’Academy, stanno scatenando un clima di caccia alle intenzioni che ricorda periodi bui già vissuti negli Stati Uniti. Un ritorno a una valutazione basata esclusivamente sui meriti artistici dei film potrebbe evitare di incorrere in errori eccessivi e risolvere l’attuale clima inquisitorio. Così, mentre gli errori sono sempre possibili, rimane essenziale mantenere il focus sulle capacità artistiche per garantire un giudizio sincero e libero da influenze esterne.
