In occasione della Giornata della Memoria, riemerge nelle sale cinematografiche dal 26 al 29 gennaio e approda sulle piattaforme di streaming Sky e Now, «La zona di interesse», un’opera cinematografica diretta da Jonathan Glazer che ha trionfato nell’ultima edizione degli Oscar con cinque statuette. La pellicola esplora la vita quotidiana di Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, interpretato da Christian Friedel, e di sua moglie Hedwig, interpretata da Sandra Hüller, focalizzandosi sulla loro esistenza nel confortevole recinto domestico che un muro separa dall’orrore del campo di concentramento.

In questa realtà apparentemente idilliaca, gli Höss si dedicano ad attività ordinarie come curare il giardino e nuotare in piscina, con alcune mansioni affidate ai prigionieri per i compiti più pesanti. Lo spettatore è immerso in questa tranquillità, mentre gli orrori al di là del muro s’insinuano solo attraverso suoni distanti, come ordini e grida, senza essere mai direttamente mostrati.

Il regista Glazer adotta un approccio meticoloso, impiegando numerose videocamere e microfoni per seguire i personaggi in ogni angolo della casa, cercando di avvicinarsi il più possibile alla verità dei fatti. Questa scelta stilistica solleva interrogativi sulla percezione della realtà: quanto comprendiamo del comportamento dei protagonisti senza la conoscenza pregressa degli eventi storici che hanno avuto luogo ad Auschwitz? La risposta si dipana nelle immagini che, pur essendo fertili di dettagli e sfumature, lasciano spazio ad un’indagine personale da parte dell’osservatore, che deve sforzarsi di ricollegare i suoni fuori campo alla loro tragica fonte.

Una scena chiave del film vede Höss organizzare un incontro tra gli ufficiali dei campi di concentramento in cui vengono presentate le istruzioni per lo sterminio degli ebrei ungheresi. Anche se la scena getta una luce più diretta sul ruolo del protagonista e sugli avvenimenti, lascia intatti molti interrogativi su quanto già visto e, paradossalmente, su ciò che non dobbiamo mai vedere.

L’intensificazione emozionale è volutamente smorzata, creando un senso di spaesamento che potrebbe essere percepito come un’attrazione ambigua, sebbene involontaria. Questo effetto deriva dall’estrapolare gli eventi dal contesto storico conosciuto, lasciando che gli spettatori riflettano sulle implicazioni morali e sulla banalità del male che risiede proprio nell’indifferenza. Allo stesso modo, Glazer sembra puntare su una rimozione scenica che esclude completamente l’aspetto del “dopo”, sottraendo all’atto narrativo la necessaria riflessione post-Shoah.

Al contrario del romanzo di Martin Amis, da cui prende a prestito il titolo, il film non contrappone visivamente le due facce complementari della tragedia: non offre il confronto tra chi perpetrava e chi subiva. Invece, la visione rimane ancorata a una sola prospettiva. L’interrogativo su come si imbastisce un’identificazione tra spettatore e scena rimane centrale: possiamo davvero abbandonare il contesto storico e cogliere il presente senza le tracce del passato?

Surge, quindi, una conclusione amara: a scapito di tutto, la profonda natura del male rischia di ridursi a semplice banalità, seppur camuffata. 27 gennaio 2025.

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