Le conclusioni di un’opera o di una carriera spesso portano con sé un fascino particolare, un riverbero che si tinge di addio e può assumere il sapore di un testamento nell’ambito della sfera creativa. In certe situazioni, questo congedo può essere affettuoso, mentre in altre si manifesta in modo più spigoloso. La recente uscita discografica di Maurizio Pollini, scomparso lo scorso marzo, incarna perfettamente un’ultima testimonianza dell’etica e dell’estetica che ha contraddistinto la sua straordinaria carriera. Il celebre pianista milanese ha sempre preferito non utilizzare la musica per esprimere se stesso, scegliendo invece di mettere a disposizione le sue conoscenze e la sua abilità tecnica al servizio del repertorio musicale che di volta in volta affrontava.

Nel lavoro “Schubert”, pubblicato da Deutsche Grammophon, non si trova alcuna traccia di sentimentalismi o malinconie, sebbene la “Sonata in sol maggiore” D.894 si presti ad interpretazioni particolarmente emotive. Pollini, ancora una volta, adotta un approccio basato sul rigore, ricercando proporzioni e sonorità che rispondano alle esigenze del pezzo.

Il disco, registrato a Monaco nel 2022, contiene anche i “Momenti musicali” D.780 eseguiti con ammirevole cura timbrica dal figlio Daniele. L’opera si conclude con la “Fantasia per pianoforte a 4 mani” D.940, un capolavoro della letteratura pianistica di Schubert. In quest’ultima traccia, padre e figlio condividono la stessa tastiera. Non si tratta di un testamento, bensì di un simbolico passaggio di testimone.

Negli anni passati, artisti come Lupu e Perahia avevano interpretato questo pezzo come una sorta di sogno. I Pollini, padre e figlio, invece, sottolineano la continuità concreta di un dialogo musicale che affonda le radici in un passato così remoto da sembrare inesauribile, caratteristica distintiva della musica di Schubert.

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