Nella storia del secondo Novecento, emergono figure protagoniste spesso dimenticate, la cui vicenda unica e poliedrica viene raccontata attraverso il lavoro di Roberto Saviano. Tra queste figura Mauro Rostagno, la cui storia sarà oggetto di un documentario in due parti, “Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo”, in programmazione su Sky Documentaries il 26 febbraio e disponibile su Now.

Rostagno è un personaggio che difficilmente trova spazio nel noto elenco di vittime della mafia o tra i simboli dei movimenti rivoluzionari del ’68. Non è neppure ascritto tra i pionieri delle televisioni private o dei terapeuti che hanno lottato contro l’eroina. In verità, Rostagno ha incarnato tutti questi ruoli e molto altro ancora. Descritto da Roberto Saviano come un uomo in perenne evoluzione, capace di trasformarsi senza mai perdere il senso di giustizia o la spinta verso la missione sociale, il documentario intende restituire giustizia alla sua memoria.

La narrazione ripercorre, attraverso filmati d’epoca e testimonianze inedite di personalità come Enrico Deaglio, Marco Boato e Claudio Fava, l’intenso percorso di vita di Rostagno. Originario del Piemonte, ha iniziato la sua carriera come operaio, scoprendo l’alienazione della fabbrica. Divenne poi una figura chiave di Lotta Continua, senza mai cedere all’ideologia. Successivamente, cercò la propria spiritualità sulle orme di Osho in India. Stabilitosi in Sicilia, fondò una comunità per tossicodipendenti, Saman, che si distingueva per un approccio alla cura che non prevedeva solo la reclusione.

Infine, il suo coraggioso impegno come giornalista lo vide sfidare la mafia trapanese tramite una piccola emittente locale. Sua figlia Maddalena ricorda com’era vivere con lui nella comunità: “Esisteva una normale tensione tra padre e figlia in quella fase adolescenziale, anche il giorno del suo assassinio”, racconta. Tuttavia, i rischi che correva restavano nascosti ai suoi cari, e la notizia del suo omicidio la lasciò sconvolta.

Il documentario descrive anche le numerose deviazioni nelle indagini seguite alla sua morte, con piste infondate che includevano il caso Calabresi e persino un’accusa di traffico d’armi. In modo surreale, la moglie Chicca e l’altro fondatore di Saman, Francesco Cardella, furono ingiustamente sospettati di favoreggiamento. Solo nel 2014 si giunse alla verità con la condanna dei boss Vincenzo Virga e Vito Mazzara: la mafia aveva assassinato Rostagno.

Maddalena sottolinea l’importanza del lavoro terapeutico del padre, il quale non trattava i tossicodipendenti come prigionieri, ma come persone capaci di percezione. Non ama etichettare il padre come vittima: “Non era un santo, ma nemmeno una vittima. Consapevole dei rischi, scelse di lottare per ideali che meritava difendere.”

Il documentario è un omaggio all’eredità di Rostagno, una figura complessa e intraprendente che ha dedicato la vita a ideali di giustizia sociale, pagando con la vita per il suo coraggio e il suo impegno.

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