Shablo, all’anagrafe Pablo Miguel Lombroni Capalbo, è un produttore musicale di 44 anni, originario di Buenos Aires e cresciuto a Perugia. Riconosciuto per il suo ruolo di protagonista nello sviluppo della scena rap e pop italiana contemporanea, ha contribuito al successo di artisti come Sfera Ebbasta, e oggi gestisce talenti del calibro di Rkomi, Irama e Gaia. Tuttavia, nonostante il suo imprinting nell’urban, confessa di sentire una certa responsabilità per l’omologazione musicale che caratterizza la scena attuale.
Quest’anno, Shablo si presenta al Festival di Sanremo con il brano “La mia parola”, in compagnia di Tormento, Gué e Joshua. La canzone rappresenta un omaggio all’hip hop tradizionale, un tentativo di riportare in auge la ricchezza delle sonorità e il valore stilistico tipici del rap anni ’90. «Un tempo, il rap nasceva dallo studio profondo della musica black e soul», spiega Shablo, «ma oggi i giovani artisti tendono a seguire tendenze superficiali, trascurando la ricerca musicale». Ciò che porta a Sanremo, dunque, non è solo una canzone, ma un messaggio: l’importanza di educare il pubblico alla qualità musicale, compito che spetta in primo luogo agli stessi artisti.
La scelta di affiancarsi a Tormento, Gué e Joshua non è casuale. Rappresentano, infatti, tre diverse generazioni dell’hip hop: Tormento è un pioniere del genere, Gué un coetaneo e compagno di percorso di Shablo, mentre Joshua rappresenta la giovane generazione con origini afro-americane. Durante la serata delle cover, si esibiranno con il brano “Aspettando il sole” di Neffa, un caposaldo del rap italiano. Questa esibizione ha un significato simbolico forte per Shablo, ricordando come in passato il rap fosse considerato una controcultura non adatta al prestigioso palco dell’Ariston.
Non mancano le riflessioni di Shablo sulla libertà artistica e la censura. Secondo lui, la critica è importante, ma non deve trasformarsi in censura, poiché questa soffoca l’espressione artistica. I rapper, sostiene, mettono in luce gli aspetti oscuri della società, dando voce a questioni spesso scomode. Bloccare tale voce significa ignorare le problematiche invece di affrontarle. L’avvicinamento dei rapper al Festival di Sanremo, una volta considerato inaccessibile, è la testimonianza di un cambiamento avvenuto nel tempo, nonostante le polemiche sui contenuti espliciti delle canzoni e sui messaggi rivolti ai giovani.
Shablo con il suo approccio autentico e radicato nell’essenza dell’hip hop, porta a Sanremo non solo una canzone, ma un manifesto culturale volto a risvegliare la profondità musicale, in un contesto dominato sempre più da tendenze omologate.