Ero arrivato a casa della mia amica Margherita verso le dieci e un quarto, un po’ più tardi del solito. Questa volta era stata anche più dura parcheggiare, avevo trovato un parcheggio con il disco orario.
La mattina della partenza mi svegliai alle sei. Scesi un po’ prima della mia amica, per spostare la macchina su un parcheggio più consono. Prendemmo il treno per Napoli alle sette e quaranta.
Del breve tratto tra Napoli centrale e il molo Bevarello, dove dovevamo imbarcarci per Capri; ricordo la ragazza con il violoncello in metro, così minuta con uno strumento così enorme.
Il primo impatto con l’isola di Capri fu con i portantini dei bagagli, omini che si lanciano in slalom tra i turisti, spingendo carrelli carichi di bagagli. Poi ci fu la salita del Passatiello, un’arrampicata scoscesa, che unisce Capri con Anacapri; una volta, prima della costruzione della carrabile nel 1800, l’unica strada che univa i due centri abitati dell’isola. Certo risulta veramente difficile pensare che chi si doveva spostare da un lato all’altro dell’isola, un tempo doveva fare quotidianamente questa arrampicata.
In cima, un abitante del posto ci aprì l’eremo. Una chiesa, con tanto di terrazza, dove si può godere un bellissimo panorama. Finita la visita all’eremo, andammo alla casa di MacKenzie. Leggenda vuole che lo scrittore scozzese, che una volta la abitava, vinse questa casa a carte.
Iniziammo la discesa verso Anacapri. Dopo un primo assaggio del paesino, alle sei eravamo in albergo. Ci concedemmo un breve momento di relax, prima della cena.
La cena fu molto gradita. Antipasto, paccheri, carne e dolce conciliarono il sonno della prima giornata.