Kafka si laureò come voleva la sua famiglia, iniziò a fare l’impiegato alle assicurazioni Generali. Kafka era un bravo ragazzo. La sua passione era quella di scrivere però, chiese una riduzione dell’orario di lavoro, perché la depressione nello stare lontano dai libri e dalla penna era troppo grande da sopportare.
Quella sensazione di percorrere un vicolo stretto tra dovere e piacere, che proviamo ogni qual volta decidiamo di conciliare le due cose, è molto presente nella sua opera. Gli stessi vicoli che si possono incontrare nel quartiere ebraico di Praga, pieni di porte e luci misteriose. Perché Kafka era ebreo, e proprio in quel quartiere è cresciuto, nel ghetto. Su di lui pesava il riscatto di una famiglia abituata ad essere perseguitata, una persecuzione subdola, leggera, che non si vede, sottoterra. Un’atmosfera creata attorno alla comunità ebraica, che impone loro in ogni momento il dovere di dimostrare la propria innocenza, la propria onorabilità, senza nessuna accusa precisa. Un po’ quello che ha tentato di raccontare, lo scrittore Kafka, nel Processo.
Kafka è cresciuto con il mito del Castello, il Castello di Praga, un luogo che rappresenta nel suo immaginario i non ebrei, coloro che controllano la città, gli autoctoni, gli indigeni. Un luogo inaccessibile per lui. Questo mito, come un sogno infantile, è al centro di uno dei suoi capolavori: Il castello appunto.
Nella metamorfosi invece tenta di raccontarci la degenerazione dell’uomo moderno, questo è una delle poche opere che ha concluso. Le altre sono quasi tutte incompiute. In questo libro colpisce la descrizione del momento in cui il protagonista, chiuso nella sua stanza, si rende conto di essere diventato un insetto. Di fronte alla sua trasformazione, la preoccupazione che lo opprime è quella di non poter andare a lavoro, nel suo ufficio. Una caricatura certo, ma il tema è quanto più di attuale ci sia nella nostra epoca, ci preoccupiamo di cose futili davanti a quello che ci accade ogni mattina, ogni giorno.
Kafka morì giovane, non voleva che gli altri leggessero quello che aveva scritto. Per questo incaricò il suo migliore amico di distruggere tutta la sua opera. Per fortuna l’amico disubbidì, e così le sue storie sono arrivate fino a noi.
Viene da pensare che sia stata una persona che ha sofferto molto nella vita. Un conflitto interiore inconciliabile, due punti nel suo orizzonte troppo lontani per incontrarsi. Allo stesso tempo però, senza questo conflitto, probabilmente la sua opera non sarebbe stata così forte, tanto forte da renderlo uno dei più grandi scrittori della storia, immortale.