La sera precedente alla partenza sono andato a dormire dalla mia amica Margherita. Una volta arrivato a casa sua, mi resi conto, dopo un paio d’ore, di essermi dimenticato a casa la riserva di liquido per la sigaretta elettronica. Una mancanza che rischiava di segnare la mia piccola gita.

La sera ho mangiato un minestrone riscaldato da lei, con dei crostini in aggiunta. Non avevo fatto in tempo a trovare di meglio per la cena. Durante la notte un rumore atroce mi ha svegliato verso le due e mezza, e mi ha dato tregua solo intorno alle quattro. Evidentemente proprio quella notte stavano facendo dei lavori alla stazione Termini.

Il giorno dopo ci siamo svegliati alle sei e un quarto. Dovevamo stare al punto di raccolta di Battistini alle sette e mezza. Tempo di una rapida colazione, e un velleitario tentativo di trovare un po’ di liquido per la sigaretta elettronica alla tabaccheria del bar, e poi partenza. Prima tappa Cala violina. 

Cala violina si presenta con un percorso da trekking poco impegnativo, circa sette chilometri tra andata e ritorno. Con una sosta sulla spiaggia, dove ho comprato un pareo da un’africana. Era da tanto che ne volevo uno, e si sa i viaggi servono anche a togliersi queste voglie. Il posto è molto bello, quello che mi colpisce è la natura, così selvaggia e così apparentemente priva di animali. Anche se frequenti cartelloni avvertono il turista della presenza di cinghiali selvatici.

Dopo questa prima sgambata, un primo approccio con il trekking in questo fine settimana, ci avviamo verso l’albergo. Ancora una mezz’ora abbondante di autobus, ed eccoci arrivati. L’intenzione era quella di riposare. Il che ci riuscì abbastanza bene. 

La cena all’albergo fu abbastanza piacevole, i miei compagni di tavolo avevano alzato un po’ il gomito, io ormai allergico all’alcol mi sono divertito ad osservarli. La mia vicina, un’insegnante delle superiori, mi ha fatto una panoramica sulla situazione della scuola d’oggi. I ragazzi che non riescono più a capire le cose, e i genitori che lì difendono anche quando non c’è nulla da difendere, un po’ quello che sappiamo tutti dalla televisione, riportato con esperienze di vita vissuta. La mafia a Ostia, la Raggi e l’auto elettrica furono gli altri argomenti di conversazione. Nessuno di noi ha parlato della guerra, mi sto rendendo conto che questo argomento si cerca, per quanto si può, di rimuoverlo.

La sera andammo a dormire abbastanza presto, dopo qualche pagina del libro che avevo portato con me, padri e figli di Turgenev. La mattina della partenza per Montecristo ci siamo svegliati un po’ prima di quanto avevamo previsto impostando la sveglia. Io alle cinque e mezza ero già in piedi che non riuscivo più a dormire. Dieci minuti dopo ero di fuori in veranda con la mia amica Margherita, che nel frattempo si era svegliata, a fumare e saggiare la brezza del mattino.

Partimmo da Piombino alle otto e mezza. La prima sosta, ma solo per la motonave, fu l’isola d’Elba, verso le nove e quaranta. Poi ripartiti ci si stagliò il profilo della Corsica, il bianco delle cime innevate era ben percepibile. L’isola di Montecristo la vedevamo già da un po’ di tempo.

Sulla motonave, passammo dal percorso intermedio, che avevamo scelto all’inizio, a quello più difficile. Ormai non potevamo più cambiare.

All’approdo ci divisero in gruppi, a seconda di quale tra i tre percorsi avevamo scelto. Il nostro gruppetto contava nove persone, più la guida. Tra i settanta che eravamo. Il percorso è stato molto impegnativo, la macchia mediterranea lasciava ampi spazzi alla roccia nuda, il granito. I primi quattrocento metri seguimmo un percorso vagamente definito, poi i nostri passi si muovevano sul terreno selvaggio dell’isola. Vedevamo sempre la nostra meta per il pranzo, il monastero. Ma ancora mancava un’ora abbondante all’arrivo. Sul mare si stagliava la linea dell’intera Corsica, dal punto più a nord a quello più a sud, con le cime delle montagne innevate.

Arrivammo al monastero stanchi e affamati. La sosta è durata una ventina di minuti scarsi. Tempo di mangiare un paio di panini e di un rapido affaccio all’interno del monastero. Ormai spoglio e diroccato. Non mancava comunque di conservare il suo fascino, con la sua storia antica.

La guida ci fece una breve panoramica sui momenti salienti del monastero. La sua fondazione, poco dopo la caduta dell’impero romano. I monaci cistercensi che litigavano. E i monaci che li sostituirono, dediti all’alchimia delle piante officinali presenti sull’isola.

La prima tappa della discesa fu l’antico molino. Con un percorso sui cosiddetti “liscioni”. Rocce di granito in discesa sul mare. Il granito, anche se in discesa, ha una buona tenuta sulla camminata, in più come aiuto avevamo delle orme scolpite, eredità dei monaci che facevano quel percorso quotidianamente.

Prima del mulino ci siamo affacciati nella grotta del santo. L’antica dimora di San Mamiano, il primo abitante dell’isola. All’interno si potevano vedere gli ex voto, portati lì fino agli anni novanta.

Dopo il molino, una discesa fino alla spiaggia. Dove ci attendeva la motonave. 

Sulla spiaggia finalmente ci siamo rilassati un po’. Dopo una rapida visita al “borgo” costituito dalla villa, oggi residenza dei forestali, che si alternano sull’isola, con turni di un paio di settimane, un piccolo museo naturalistico, con un piccolo inventario delle speci animali e vegetali presenti sull’isola. E l’orto botanico, dove sono presenti le speci vegetali presenti sull’isola.

Prendemmo la motonave verso le cinque del pomeriggio, arrivammo al molo di Piombino che erano le otto. Ora ci attendevano tre ore di autobus per stare a Roma alle undici di sera. Sono arrivato a casa della mia amica Margherita alle undici e quaranta, dopo mezz’ora di metro e una camminata di dieci minuti.

Mi attendeva ancora un’ora di macchina. Recuperai le cose che avevo lasciato a casa di Marghe, mentre lei mi faceva un caffè. Sono arrivato a casa all’una di notte. Alla fine il liquido della sigaretta elettronica, con qualche accortezza sul consumo, mi era ampiamente bastato. Ero pienamente soddisfatto, della piccola gita.

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