A un primo impatto, la meraviglia e l’eleganza apparente del resort The White Lotus 3 lasciano senza fiato, attirando subito l’attenzione degli spettatori. Dopo aver già apprezzato i lussuosi ambienti delle precedenti stagioni, si giunge in un luogo ancora più affascinante, lontano dagli eccessi decorativi di cinz e ananas di legno che caratterizzavano il primo capitolo ambientato alle Hawaii.

Situato su un promontorio che sembra sospeso fra cielo e mare, il resort offre un’esperienza di benessere olistico che combinato con il suadente tono dell’ASMR dei suoi lavoratori, ha il potere di richiamare i visitatori come una lanterna thai che attira le falene tropicali. La famiglia Ratliff giunge in questo paradiso di lusso nella terza stagione della serie, resa disponibile da Sky e Now. Tuttavia, alla conclusione del primo episodio, l’illusione di una vacanza che emana sofisticata serenità inizia a sgretolarsi. Non perché, come di consueto, la trama si concluderà in modo disastroso, come già anticipato nelle prime scene; se così non fosse, avremmo preferito un’atmosfera più rassicurante e ottimista, come quella di Love Boat, piuttosto che la tensione di un cubetto di ghiaccio che cade nel Mai Tai, generando un’eco inquietante dopo il tramonto.

Al White Lotus, i padiglioni di teak sono tanto sontuosi da superare la bellezza di un semplice gazebo a Bordighera, evocando invece la libertà e il rischio associati a porte di foglie di banana sempre socchiuse e a eleganti tetti di pagoda di carta di riso che si aprono su un abisso di eventi imprevisti. Tra gli abitanti del resort si trovano anche Jaclyn, Kate e Laurie, le migliori amiche che si trovano riunite in vacanza, ma la realtà è che il loro legame sembra meno saldo di quanto appare a prima vista.

La vera fonte del disagio, tuttavia, non risiede in un’atmosfera da apocalisse imminente. Piuttosto, è una sottile inquietudine sociale e personale che si insinua tra gli ospiti, ora che i cinque episodi disponibili hanno dissipato il jet lag, anche se i farmaci presi durante il viaggio restano. Nessuno dei personaggi sembra particolarmente amabile o meritevole di simpatia, ma il voyeurismo è una tentazione irresistibile: l’osservatore rimane incuriosito dal crescente disagio dietro ai cartelli “do not disturb”, pur non trovando completamente il coraggio di distaccarsene. Questa umanità disfatta, che la serie mette abilmente in mostra attraverso una lente amplificatrice di esagerazione e ricchezza, ci fa inevitabilmente pensare a persone che conosciamo o che abbiamo incontrato in passato. I parallelismi con situazioni simili vissute nei diversi contesti vacanzieri, in cui ognuno porta con sé le proprie storie e segreti, emergono con forza.

Il resort The White Lotus ha il suo set nel magnifico hotel Four Seasons a Koh Samui, in Thailandia, dove avvengono le scene che mettono in luce le vite turbolente e complesse di questi ricchi personaggi. Nonostante le incredibili e assurde avventure che vivono, ci si sorprende a riflettere su quanto la fiction possa avvicinarsi alla realtà, pensando magari alle strane storie personali che ognuno di noi ha raccolto in giro per il mondo, tra villaggi remoti all’equatore e lussuosi resort polinesiani. Queste esperienze dimostrano, una volta di più, quanto la narrativa di The White Lotus riesca a disegnare un ritratto satirico della nostra società, incorniciando ambientazioni affascinanti con eventi memorabili e, paradossalmente, a tratti realistici.

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