La Le Pen e la battaglia tra città e paese

Ho l’impressione, con sempre maggiori conferme, che dal crollo del muro di Berlino in poi, con la fine dello scontro ideologico tra comunismo e capitalismo, la lotta politica e culturale sia tra la provincia e la città.

Questa differenza è sempre esistita, è stata raccontata egregiamente da uno scrittore come Cesare Pavese. Oggi, con la scomparsa delle grandi ideologie politiche, e nell’era della globalizzazione è diventata l’unica vera differenza su cui polarizzarsi.

Negli ultimi decenni abbiamo visto vari capitoli di questa lotta. Per restare in Italia, si può iniziare dal fenomeno Berlusconi. Che però va detto, oggi ha cambiato completamente messaggio, diventando un leader urbano. Per arrivare alla Lega di Salvini.

Negli Stati Uniti il fenomeno più eclatante è quello di Donald Trump, il leader dell’America profonda, della provincia americana.

In Europa possiamo citare i casi di Orban e della brexit, tutti fenomeni questi costruiti in provincia. Lontano dal luccichio della città.

La stessa guerra in Ucraina trova il suo consenso più marcato e la spinta più importante nella campagna russa.

Anche la Le Pen trova il suo consenso nella provincia francese, molto distante dallo stile di vita raffinato di Parigi e delle altre grandi metropoli.

Tutti i leader citati vengono amanti in provincia, anche se poi la tradiscono. Non tentano di appianare le differenze, cercando di dare anche alla provincia più occasioni di lavoro e di sviluppo. Esaltano invece il suo isolamento, alimentando la rabbia e la frustrazione.

Non bisogna sottovalutare questa divisione, che rende possibile ciò che per l’uomo della città è impossibile. Perché la maggior parte delle persone vive in piccoli centri, e non nelle città.

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